martedì 12 marzo 2013

Pacta sunt servanda e Fiscal Compact

Gli assassini di Stato Latorre e Girone omaggiati da Giorgio Napolitano
Ovvero gli accordi vanno rispettati: è la prima e fondamentalmente unica norma che regge l'intero baraccone del cosiddetto diritto internazionale, ossia quello che regola i rapporti tra gli enti "superiorem non recognoscentes", in altre parole gli Stati sovrani, come sa chiunque abbia avuto una qualche dimestichezza con la facoltà di giurisprudenza, quindi anche il ministro degli Esteri in carica, benché limitatamente agli affari correnti, Giulio Terzi di Sant'Agata. A prescindere dalla dabbenaggine di chi conclude accordi con un Paese che ha i precedenti dell'Italia, che specialmente in campo militare non ha mai mantenuto la parola data nel corso della sua esistenza dal 1861 a oggi, è fuori di ogni ragionevole dubbio che la mancata restituzione all'India, dopo un astruso e pretestuoso mese di "permesso elettorale", per essere  processati dal tribunale locale, dei due fucilieri accusati di aver ucciso due pescatori inermi sia il risultato di un "truschino" tra il nostro governo semiabusivo e le autorità di un Paese che in quanto a cialtronaggine, corruttela, nepotismo, assuefazione alle caste e servilismo non ha nulla da invidiare al nostro (non a caso l'eminenza grigia ne è da decenni un'italiana) ma il punto è un altro. Se il rispetto di un accordo con l'India è un optional, perché il Patto di Stabilità Europeo, altrimenti conosciuto come Fiscal Compact, deve rivestire un'aura di sacralità ed essere indiscutibile?

2 commenti:

  1. "...Se il rispetto in un accordo con l'India è un optional, perché il Patto di Stabilità Europeo, altrimenti conosciuto come Fiscal Compact, deve rivestire un aura di sacralità ed essere indiscutibile?

    Perché l'India non ci tiene economicamente per le palle, mentre la Germania sì?

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  2. Mica tanto vero, se non fossimo, per l'appunto, dei maramaldi servili: ai tedeschi basterebbe ricordare che se salta il mercato italiano, vanno nella merda peggio di noi, che a sguazzarci dentro ci siamo abituati di default.

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