domenica 18 marzo 2018

Philip Seymour Hoffman, par exemple


"Philip Seymour Hoffman, par exemple" di Rafael Spregelburd. Regia di Transquinquennal. Con Bernard Breuse, Miguel Decleire, Manon Joannotégui, Stéphane Olivier, Mélanie Zucconi. Una coproduzione Transquinquennal/Kunstenfestivaldesartes/Théâtre Varia/Théâtre de Namur/Théâtre de Liège/Mars-Mons arts de la scène. Prima nazionale il 17 marzo 2018 al PalaMostre di Udine per Teatro Contatto 36
Quando Stéphane Olivier, attore mezza età dall'apparenza goffa, si presenta per un casting in un teatro di posa di Bruxelles gli esaminatori, convinti che si tratti di Philip Seymour Hoffman (l'attore newyorkese anti-divo per eccellenza prematuramente scomparso il 2 febbraio del 2014) talmente immedesimato nella parte da esprimersi in francese con accento vallone, rimangono attoniti, chiedendosi cosa lo abbia portato in Belgio, e qualche dubbio su chi sia viene allo stesso Stéphane quando, rientrato a casa e dopo aver raccontato lo strano episodio alla moglie, quest'ultima, senza dargli retta e chiamandolo Philip, gli chiede il divorzio. Parallelamente, in uno sfondo in continua metamorfosi, con gli attori che spostano gli elementi scenici e mutano essi stessi identità sotto gli occhi del pubblico in modo straordinariamente fluido, si svolgono altre due storie: un attore giapponese alle prese con un remake vittima di un'idolatria al limite dello stalking da una giovane ammiratrice adorante che ne segue ossessivamente le tracce, e il "vero" Philip Seymour Hoffman, circuito da un gruppo di truffatori che lo convince a far digitalizzare i suoi movimenti e fingersi morto, trasferendosi per un periodo magari nel Benelux, per vendere il suo avatar ai produttori della serie televisiva Hunger Games, che effettivamente lo avevano sotto contratto al momento della morte, i quali davvero presero in considerazione di utilizzare un suo ologramma per girare le scene mancanti in cui era previsto il suo personaggio, Plutarch Heavensbee. Partendo da questo spunto, e dall'idea che non esistiamo se non nel modo in cui ci vedono gli altri, e in funzione di ciò, il collettivo multidisciplinare belga Transquinquennal ha chiesto al talentuoso drammaturgo argentino Rafael Spregelburd, convinto seguace della Teoria del caos applicata al teatro, nonché della realtà non lineare, di scrivere un testo che affrontasse il tema dell'identità sotto i suoi molteplici aspetti: il bisogno di una figura di riferimento, un mito, su cui proiettare ciò che siamo, ciò che desideriamo essere, in sostanza ciò che recitiamo, a costo di mentire spudoratamente, fosse anche a fin di bene. Cosa che vale in particolar modo per gli attori, specie quelli davvero bravi, profondi e non etichettabili: ed ecco la scelta di incentrare la commedia su Philip Seymour Hoffman, Star suo malgrado, un artista sensibile che sceglieva con cura e criteri personali le proprie parti immedesimandovisi totalmente, alternando cinema holliwoodiano a quello indipendente, serie tv, teatro e serie tv dozzinali, di cui questo lavoro non è una biografia, non raccontandone né la vita, né la carriera, né la morte, ma solo l'immagine, per l'appunto l'idolo che era per gli esaminatori dell'alter ego belga Stéphane, o l'avatar da sfruttare dei furfanti cinematografari. Due ore e venti di spettacolo godibilissimo e scorrevole, in un francese piuttosto comprensibile (e comunque con l'ausilio dei sottotitoli) e, tra gli interpreti, da sottolineare la versatilità delle due protagoniste femminili, in particolare la travolgente Mélanie Zucconi. Il teatro di Spregelburd, quando non filtrato da una regia cervellotica e un'interpretazione capziosa, autoreferenziale e sostanzialmente fasulla come quella del tanto mitizzato Ronconi, risulta perfettamente intellegibile e gradevole. Vivamente consigliato se capita di vederlo in giro per la Penisola.  

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