domenica 26 novembre 2017

Borg McEnroe

"Borg McEnroe" di Janus Metz Pedersen. Con Sverrir Gudnason, Shia LeBoeuf, Stellan Skarsgaad, Tuva Novotny, Ian Blackman, Robert Emms e altri. Svezia, Danimarca, FInlandia 2017 ★★★½
Wimbledon, estate del 1980, tra fine giugno e inizio luglio. Il compassato svedese Borg, 24 enne, aveva già vinto  il torneo quattro volte di fila e, inanellando il quinto successo consecutivo, sarebbe stato incoronato Re di Wimbledon; John McEnroe, l'irascibile e irriverente pel di carota newyorkese di origini irlandesi, di tre anni più giovane, era l'astro nascente del tennis mondiale. Come si arrivò alla finale tra i due, che si incontravano per la prima volta in quell'ocasione, e il racconto di una partita al cardiopalma, rimasta nella memoria di molti, sono l'oggetto di questa pellicola avvincente e ben girata. E' fin troppo banale notare le affinità con Rush, il bel film che raccontava la storica rivalità fra due campioni dell'automobilismo degli anni Settanta, Niki Lauda e James Hunt; anche quella tra Björn Borg e John McEnroe nel tennis fece epoca, solo qualche anno più tardi. La differenza sostanziale sta nel fatto che mentre in Rush i due personaggi avevano uguale rilevanza, in realtà nel film del danese Pedersen, coadiuvato dallo sceneggiatore svedese Ronnie Sandhal, il protagonista è Borg (straordinaria la somiglianza con l'originale di Sverrir Gudnason) coi suoi tormenti, e John McEnroe il comprimario che li mette in luce per contrasto. Se per carattere non potevano essere più diversi, in realtà non solo si stimavano (diventando anche ottimi amici fuori dal campo) ma si riconoscevano l'uno nell'altro ed erano gli unici in grado di capirsi a vicenda, come del resto i loro colleghi della Formula 1, "condannati a vincere" com'erano, uno per motivazioni più interiori, l'altro più condizionato dall'ambiente esterno, specialmente famigliare. E' McEnroe che afferra al volo il segreto del rivale, osservandolo: una pentola a pressione che tiene tutto dentro, da lì l'apparenza glaciale, e sfoga tutta la sua rabbia ed energia (pur sempre controllata) nel gesto atletico: Borg dal canto suo, e il suo allenatore (a sua volta ex tennista svedese di buona fama) che lo segue dall'infanzia, sanno che smetterà di giocare nel momento in cui verrà detronizzato dal giovane rivale (cosa che accadde l'anno successivo, sempre a Wimbledon): fino a quel momento, sempre e solo "di testa", andrà alla conquista di un punto per volta, passo dopo passo, implacabilmente. Eppure tutt'altro che una macchina era Borg, preso da fissazioni e scaramanzie che nessuno sospetterebbe mai in uno scandinavo, e meno che mai in colui che la retorica dei media del tempo aveva dipinto come l'uomo di ghiaccio, una specie di automa in confronto dello scavezzacollo mancino "puro talento". Oltre a una credibile ricostruzione dell'epoca e dell'ambiente, a un ritmo sostenuto e con riprese pregevoli da un punto di vista sportivo, il film racconta anche l'epoca di passaggio dal tennis come sport per gentlemen a fenomeno di massa con protagonisti delle star mediatiche: ché in tali furono trasformati dalla stampa e dalla TV due personaggi che, Borg ancora meno di McEnroe, erano consoni al vecchio ambiente tennistico d'élite. Un buon film che racconta con fedeltà un ambiente e un periodo di cambiamenti, non solo nel tennis. 

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