domenica 3 luglio 2016

Al di là del piagnisteo

Rana Plaza, l'edificio collassato a Dhaka, Bangladesh, il 24 aprile 2014. 1129 morti

A ogni strage, peraltro largamente annunciata, come quella di Dhaka avvenuta due sere fa, parte immancabilmente la solfa del terrorismo islamico, dell'Isis, dell'invito all'Islam moderato a difendere i valori della libertà e dei diritti (occidentali), della commozione per le povere vittime, che naturalmente sarebbero, secondo il più trito luogocomunismo buonista, innocenti. Come sostiene il capo supremo dell'altra ditta che agisce in nome dell'Unico Dio, che condanna "gli atti di barbarie come offese contro dio e l'umanità". Innocenti? Vittime inconsapevoli? Trattandosi in buona parte di imprenditori e amministratori delegati, graziosamente chiamati managing director così come Quattrocchi e soci di irachena memoria venivano definiti contractor anziché mercenari, che vivevano nel lussuoso quartiere di Gulshan, un'enclave per expats (ossia stranieri del "primo mondo" residenti in Bangladesh) nonché sede di ambasciate, mi permetto di dubitarne. Semmai conniventi di un sistema che incoraggia sistematicamente la delocalizzazione della produzione nei Paesi in cui più basso è il costo della manodopera e minori, quando non del tutto assenti, le tutele per chi lavora, per non parlare dello sfruttamento minorile e di condizioni di vita a livelli di schiavitù. Nella deprecazione generale per il massacro di 20 "innocenti" in nome del Corano, ci si è già dimenticati che questo è avvenuto nella stessa città in cui due anni fa ci furono 1129 vittime per il crollo del Rana Plaza, palazzina di otto piani sede di un formicaio di laboratori tessili al servizio di committenti occidentali (tra cui i nostri Benetton,  illuminati e creativi imprenditori green e naturalmente gay friendly, paladini del Made in Italy, portati in palmo di mano dal progressismo nostrano), costretti a produrre talmente al ribasso da considerare insostenibili i costi per la manutenzione e la stabilità strutturale dello stabile e quindi irrilevante la sicurezza dei propri dipendenti, ammassati a lavorare in condizioni subumane. E in un Paese come il Bangladesh, da sempre governato in maniera indecente e dove da anni, in un crescendo inarrestabile negli ultimi mesi, hanno mano libera gruppi di fanatici religiosi che nessuno può o vuole fermare. Segnalo qui il pezzo di Virginia Della Sala sul Fatto Quotidiano di oggi a proposito della Strategia islamista: colpire gli "schiavisti" e di come vengano visti i benefattori occidentali dai lavoratori bangladesi: altro che "portare lavoro" e, all'occorrenza, "aiuto umanitario" ai derelitti e magari la Parola del Signore e la Fede Vera oltre che i sacri valori del "Mondo Libero". Che, a mio modo di vedere, non sono cambiati rispetto ai tempi dei Conquistadores spagnoli e della Compagnia delle Indie e sono quelli del dio danaro e della libertà di accumularne sempre più in progressione geometrica da parte del più forte, ricco e meglio armato a scapito dei più e possibilmente altri. Insomma, il libero mercato dei soliti noti su scala globale. L'ISIS, o chi per esso, trattandosi di un'attività internazionale in franchising, non è nient'altro che il risultato di tutto questo, e inevitabilmente cresce sul terreno seminato anche da certi innocenti imprenditori o loro bracci operativi, e non rendersene conto è il risultato del solito guardare al dito invece che alla luna che esso indica, ed è quanto fanno quotidianamente i mezzi di informazione, e non solo quelli, patetici, italiani. Altro risultato di questa distorsione di prospettiva nel valutare la realtà e il collegamento tra cause ed effetti, ossia fra le azioni e le loro conseguenze, è la sempre più generale incapacità, a tutti i livelli, di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, del resto inevitabile con un'umanità che si pretende ridotta all'unica dimensione di consumatore e al contempo di oggetto di consumo: per quanto mi riguarda, trovo più etico il narcotrafficante che rischia la galera di chi delocalizza in Bangladesh o fa affari con chi sfrutta dei poveracci non rischiando nulla, salvo incocciare in qualcuno che comincia a essere incazzato sul serio o sfrutta una situazione di disagio palese quando va a fare baldoria in un ristorante a tre stelle. Con tutto il rispetto per i morti, non vedo perché dovrei esibire il lutto come ha invece fatto la nazionale di calcio ieri sera a Bordeaux: forse è il caso di chiedersi cosa ci si va a fare in Bangladesh. O in Afghanistan, in Irak, in Nigeria, in Libia, in Turchia. Come Stato italiano, come imprese e anche come singoli: come si usa dire, mica l'ha ordinato il medico. E mentre il danaro circola liberamente ed è ovunque il benvenuto perché pecunia non olet, non è così per le persone. E noi occidentali non lo siamo in buona parte del mondo, e in quella di impronta musulmana in particolare: è ora di farcene una ragione e chiederci il perché, invece di cadere dal pero e magari accendere i lumini.

1 commento:

  1. ...certi innocenti imprenditori o loro bracci operativi...

    Non ci sono innocenti, solo vittime. Cioè "danni collaterali" nella guerra al ribasso dei costi per alzare i benefici. Di Borsa. O di borse. O di bilancio, c'est la même chose

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