sabato 21 maggio 2016

Cuencano - 2


Quattro giorni senza annoiarmi un attimo: non perché fossi preso dalla frenesia di vedere tutto o fare chissà che, ma perché la città è così gradevole da consentire di provvedervi in tutta tranquillità, senza farsi venire l'ansia di prestazione, quella che coglie il turista, magari facente parte di un tour organizzato, con tempi contingentati e visite "obbligate". Viaggiare è un'altra cosa, significa innanzitutto prendersi i propri tempi, anche se non soprattutto di riposo, e adattarsi al ritmo del posto in cui ci si viene di volta in volta a trovare: in alcuni casi riesce, come mi ero accorto dal primo impatto con Cuenca; altre no, e allora lasci il luogo senza provare, nella giornata prima del distacco, quella che io chiamo "nostalgia preventiva". Che non mi ha colto del tutto semplicemente prrché sto complottando con me stesso un possiblie passaggio con sosta nel viaggio di ritorno verso Quito, dove dovrò trovarmi tra dieci giorni.


Il centro storico della città risale al XVII Secolo ed è pressoché intatto: quando vi giunsero gli spagnoli, attorno al 1540, rasero al suolo la fiorente Tomebamba, che in lingua quechua significa "valle del sole", salvo utilizzarne le pietre come basi per i loro edifici, esattamente come fecero al Cuzco o a Città di Messico, ma prima ancora degli inca, e per tremila anni, la zona era abitata dai cañar, una popolazione indigena: alcuni resti delle mura inca, rinvenuti non molti anni orsono, sono visibili nel Parco Archeologico compreso nel Museo Pamapungo e presso il vicino Museo Manuel Agustín Landivar, sempre nella zona del Barranco che da  sul fiume Tomebamba. 


Sede di università, capoluogo amministrativo dell'Azuay, Cuenca è tutt'altro che una città sonnolenta, ed è ricca di attività artigianali, sia per quanto riguarda la ceramica, sia la lavorazione dei metalli per non parlare del ramo tessile, dove dalla fine dell'Ottocento trionfa la produzione dei famosi cappelli erroneamente chiamati Panama, e qui invece sombreros de paja toquilla, e  Montecristi dagli intenditori, dal nome della località costiera dove principalmente viene coltivata la particolare palma da cui deriva la paglia utilizzata per i copricapi, che in effetti è abbastanza strano siano stati inventati qui dove, per quanto il sole, quando c'è, picchia, le temperature raramente superano il 20 gradi, e il tempo è estremamente variabile e, da quando sono qui, non c'è giorno esente da almeno una spruzzata d'acqua, quando non un vero e proprio scravasso improvviso. Eccezionali per leggerezza, eleganti, pratici, hanno trovato a Cuenca e dintorni la località d'elezione per la loro fattura, che viene effettuata con metodi rigorosamente artigianali nelle fabriche in città (la più famosa, con annesso museo, è quella di Homero Ortega) ma anche a domicilio, come attività integrativa, dai contadini delle ricche campagne circostanti. Esportati inizialmente soprattutto in Brasile e Messico, durante ilo scavo del Canale di Panama venivano massicciamente utilizzati dai lavoratori addetti all'opera e successivamente Panama divenne il principale porto da dove venivano inviati verso l'Europa e l'America del Nord: da lì il nome che li ha resi famosi nel mondo, e ancora oggi sono il principale manufatto d'esportazione del Paese. 


Impagabile andare a zonzo per le vie lastricate del centro storico, con l'unico inconveniente del transennamento della Calle Gran Colombia che lo attraversa da Est a Ovest In tutta la sua lunghezza a causa dei lavori di costruzione della tranvia che, mi auguro, toglierà dalla circolazione un po' dei bus completamente scarburati che emettono nuvole di fumo tossico a ogni, frequente, passaggio in servizio attualmente. Nulli, anche qui, quelli di gatti: in due settimane di viaggio ne ho avvistato casualmente un esemplare per un attimo a Riobamba, e qui neanche uno neppure nei dintorni dei due grandi mercati coperti comunali, il 9 de Octubre, verso Nord, e il 10 de Agosto a Sud, lungo la Calle Larga costruita sopra il barranco


Mercati che, assieme ai mezzi pubblici, sono gli strumenti migliori per cercare di capire come, vive, mangia e la pensa la gente comune, in tutto il mondo, e non mi riferisco agli ipermercati o alle catene transnazionali  che infestano ormai le nostre città, e che cominciano a prendere piede pure qui, non luoghi frequentati da umani ridotti ormai a una sola dimensione. Mercati che sempre, qui, hanno una parte, il patio de comidas, riservata alla ristorazione, sia per i visitatori, sia per chi ci lavora, dove piccole cucine famigliari propongono le autentiche specialità locali con materia prima di provenienza certa e controllata, avendola sotto gli occhi fin dall'alba: questo si chiama "chilometro zero", non le parodie che vanno di moda da noi.


Rimane da dire dei monumenti, che non mancano se anche Cuenca è stata inserita tra i Patrimoni Culturali del'Umanitá tutelati dall'UNESCO: oltre alle due cattedrali che si fronteggiano nella piazza principale (quella vecchia adibita però a museo), le altre chiese sono quasi sempre chiuse e non visitabili salvo che in orario di messa; notevolissimo, anche qui, il museo presso il monastero delle Conceptas, situato nella parte aperta al pubblico e, tra gli altri, quello di Arte Moderno, nella Plaza di San Sebastián, dove la città si incontrava con la campagna (quella da cui prende il nome era detta "la chiesa degli indios"), situato in un ex orfanotrofio; il Pamapungo del Banco Central, molto interessante per la sua sezione etnografica; una citazione particolare meritano il delizioso Museo de las Culturas Aborigenas, costituito da una collezione di oltre 5000 pezzi, alcuni risalenti a 15000 anni fa, testimonianze della ventina di culture esistenti in Ecuador nel periodo preispanico, messa assieme da Juan Cordero Iñiguez, insigne studioso e docente e già ministro della Cultura edell'educazione, e l'originale e altrimenti istruttivo Museo de Esqueletologia Doctor Gabriel Moscoso, che raccoglie circa 150 scheletri, tra rettili, mammiferi, uccelli e pesci viventi nel Paese. Oltre a tutto questo, e soprattutto, a Cuenca ci si vive bene e in poco tempo vi si sente di casa. Ma ora è tempo di scendere ancira verso Sud!


1 commento:

  1. Assenza di gatti: non è che se li mangiano?
    O forse i gatti mal sopportano i 2.560 mt di altezza cui magari si adattano meglio i cani?
    E' curiosa 'sta cosa che non ve ne siano del tutto, no?

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