venerdì 15 aprile 2016

La Cowspiracy controproducente


"Cowspiracy: The Sustainability Secret" di Kip Andersen, Keegan Kuhn. USA 2014.
"L'allevamento di animali è la principale causa di deforestazione, consumo d'acqua, inquinamento e produzione di effetto serra; nonché della distruzione della foresta pluviale con la conseguente estinzione delle specie indigene e del loro habitat; dell'erosione del manto terrestre, delle cosiddette 'zone morte' oceaniche e di ogni altra forma di malattia ambientale. Nonostante ciò, questa pratica va avanti senza che nessuno si opponga. Mano a mano che Kip Andersen si avvicina ai vertici dei movimenti ambientalisti, scopre quello che sembra un rifiuto intenzionale a mettere in discussione gli allevamenti intensivi, mentre difensori e paladini dell'industria lo mettono in guarda sui rischi alla sua libertà e persino per la vita, in caso osi proseguire". Fin qui la recensione che di questo documentario, finanziato in crowfunding e prodotto da Leonardo DiCaprio, fa My Movies, e tanto può bastare per capire di cosa tratta. Ho finalmente occasione di vederlo al sempre benemerito Visionario, proposto dall'associazione Udine per il clima e, a mio modo di vedere, il risultato è una delusione mista a una profonda irritazione e una conferma. Comincio da quest'ultima: diffido di ogni documentario o articolo di giornale, più che mai di quelli che si autodefinisscono "inchieste", che iniziano con una non richiesta presentazione di chi scrive fatta in forma colloquiale e ammiccante, con dettagli non solo biografici ma anche personali, riguardanti le proprie abitudini e preferenze, confidenziale ai limiti del pettegolezzo: tutti dettagli di cui non me ne frega un emerito cazzo nella fattispecie, perché se ti sto leggendo o guardando è per capire e documentarmi. E' un'abitudine tipicamente USA, che probabilmente viene insegnata alle loro scuole di giornalismo, o nei corsi di scrittura (o regia) creativa, in un Paese dove la loro frequentazione è generalizzata e non si capisce a che pro, dato ben pochi tra coloro che eccellono nei rispettivi campi ne è uscito diplomato: come ogni moda idiota anche questa ha preso piede qui da noi già da qualche decennio, col risultato che giornali, romanzi, perfino comunicati stampa e discorsi dei politicanti fino alle sceneggiature cinematografiche sembrano scritti con lo stampino (negli anni Ottanta nelle redazioni si parlava dello stile "panoresso", ispirato al modo di esprimersi radical chic che imperava nei due periodici già allora più diffusi tra la "classe colta", Panorama e L'Espresso). Ma il peggio deve ancora venire: segue un primo giro di dati che danno la vertigine, con tanto di grafici e, nel caso, animazioni; un'intervista negata, o reticente, a cui si giunge inevitabilmente in modo avventuroso, e di cui vengono proposti spezzoni a piacere; un primo giro di pareri ai soliti cinque-sei personaggi di riferimento, che finiscono per diventare i guru della situazione, per poi continuare circolarmente, a cerchi concentrici sempre più stretti come gli avvoltoi, ripetendo la sequenza cinque, sei volte, riproponendo ossessivamente i medesimi dati in altre salse, nonché spezzoni di interviste analoghe, fini allo show down finale della Rivelazione: la Verità Assoluta, l'unica in grado di sconfiggere il Male una volta per tutte. Uno schema che si ripropone invariabilmente purtroppo non solo nell'immaginario ma anche nella prassi della grande maggioranza di questi zotici e di chi li governa, che è poi la logica, e l'etica, di gente cresciuta col mito fondativo del Far West. Nella fattispecie, la soluzione abbracciata alla conclusione di un documentario ricco di dati, impressionanti quanto spaventosi perché tratti da fonti ufficiali (benché ignori quanto e come estrapolati) sull'impatto ambientale e climatico dell'allevamento su scala industriale e dell'agricoltura intensiva e transgenica che gli è correlata è il veganismo, neanche solo il vegetarianesimo, abbracciato da tutti indistintamente i guru interpellati con fermezza e convinzioni talibane nel corso della presunta inchiesta. Che tale si rivela non essere, perché trattasi a tutta evidenza del tentativo di dimostrare a posteriori una tesi precostituita e non un'indagine obiettiva alla ricerca di una verità e delle possibili e praticabili soluzioni per affrontarla. 80 minuti di documentario tutto sommato valido, interessante e dalle buone intenzioni, per quanto spesso puerile, rovinato dagli ultimi cinque minuti: sono del parere che un ambientalismo ideologico siffatto procuri più danni che vantaggi a qualsiasi seria battaglia per la sostenibilità che faccia i conti (e non soltanto la rima) con la realtà e la praticabilità. In definitiva, un pessimo servizio all'ecologismo, con l'unico vero pregio di sputtanare l'ambientalismo istituzionale, che segue le stesse logiche mercatiste di tutto il sistema globalizzato. 

2 commenti:

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    1. Finalmente qualcuno che fa un po' di contropelo al veganismo d'ordinanza che mai, dico mai, riesce a chiarire nemmeno a se stesso che le scelte alimentari sono sempre soggettive e che tali scelte, che motivano molti noveau végétaliens, ha a che vedere con i metodi di allevamento e con la logica della massima produttività, non necessariamente con i pro o contro la carne in assoluto.
      Mi piace ricordare quel che racconta, parlando della propria fuga dal Tibet, l'attuale Dalai Lama, vegano integralista per ragioni etiche e religiose: mentre attraversava adolescente le catene montuose e i ghiacciai per raggiungere l'attuale esilio, finirono le scorte di cibo, e il freddo e la stanchezza stavano mettendo a serio rischio la sua vita. Per sopravvivere e recuperare un po' di energie quando era ormai molto vicino al collasso, su insistenza della sua scorta iniziò a succhiare piccoli pezzetti delle cinghie in pelle con cui la scorta che lo accompagnava teneva insieme i vari bagagli. Succhiava la pelle fino a che questa si ammorbidiva, poi la masticava per estrarne quel po' di nutrimento proteico che ancora poteva dare. E fu questo che in quel drammatico frangente gli salvò la vita.
      Gli attuali talebani vegani forse dimenticano poi che anche nell'antica Cina il veganesimo era una scelta etica dei dignitari, dei monaci e degli imperatori i quali pensavano in questo modo di parzialmente riuscire a compensare le molte brutalità e le morti che procuravano ai loro sudditi per mantenere l'ordine e il potere.
      Oggi potrebbe avere lo stesso senso, essere cioè una scelta etica che nasce dalla nuova consapevolezza dei brutali maltrattamenti inflitti agli animali che, di conseguenza, infliggiamo insieme a noi stessi e all'ambiente in cui viviamo fingendo di non sapere quali siano i patimenti inflitti a ciò di cui ci nutriamo.
      Può diventare una forma di lotta non violenta, se vissuta in questo senso, dato che solo come consumatori possiamo cambiare le logiche del mercato.
      Diversamente, è solo autoerotismo intellettualoide il cui solo scopo è gratificare il proprio ego con con scelte vissute come distinzioni elitarie che non insegnano niente a nessuno, a parte l'allevarsi un ego ipertrofico che risulta socialmente più tossico perfino dei brutali macelli degli allevamenti intensivi...

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