sabato 26 marzo 2016

La corte


"La corte" (L'hermine) di Christian Vincent. Con Fabrice Luchini, Sidse Babett Knudsen, Eva Lallier, Michaël Abiteboul, Miss Ming, Marie Rivière, Berenice Sand, Claire Assali e altri. Francia 2015 ★★★★
Un impareggiabile, minuzioso, chirurgico Fabrice Luchini, giustamente premiato con la Coppa Volpi all'ultimo Festival di Venezia come migliore attore, è l'interprete perfettamente calibrato per Xavier Racine, l'uomo con l'ermellino, presidente di Corte d'Assise a Saint Omer, nei pressi di Calais, Nord-OVest della Francia, un uomo conscio del suo ruolo, cinico, scostante, rigoroso fino alla pignoleria almeno nella sua veste pubblica che, pur alle prese con un'influenza fastidiosa, non rinuncia a presiedere un delicato processo che vede imputato un giovane disoccupato accusato di aver ucciso a calci, forse da ubriaco, la figlioletta di sette mesi; non solo per scrupolo professionale ma perché ha riconosciuto, tra i giurati, la fascinosa anestesista che l'aveva assistito durante un ricovero in ospedale per le ferite riportate in un incidente anni prima e di cui si era innamorato senza essere stato in grado, per vigliaccheria, di dichiararsi. Lo farà in questa occasione, vincendo con difficoltà l'innata timidezza, durante un corteggiamento imbarazzato, ma al contempo elegante e tenero, che avviene tra un'udienza e l'altra e un incontro per un drink in una sala discreta della tavola calda frequentata da tutti gli altri membri della corte nonché dagli addetti al vicino tribunale, rivelando le mille inaspettate sfaccettature dell'uomo apparentemente irreprensibile e rigido, ormai quasi anziano, capace di innamorarsi come un liceale. Film nella migliore tradizione francese, lieve e con una piega ironica anche se semina spunti per riflessioni serie, molto giocato su dialoghi serrati e puntuali, capace di gettare la luce non solo su un personaggio complesso tra il suo ruolo ufficiale e la sue debolezze private, ma anche sulle dinamiche processuali (dove la meticolosità e la razionalità magistrato, soprannominato "due cifre" perché raramente le sue sentenze si concludono con condanne inferiori ai dieci anni, porteranno a un esito non scontato del procedimento), quelle tra i giurati, quelle tra i sessi e le etnie, e quelle del mondo femminile (splendide le scene tra madre e figlia adolescente, che intuisce subito qualcosa, e ne ha la conferma quando assiste al secondo incontro tra Racine e la bella dottoressa d'origine danese, come la brava Sidse Babett Knudsen che la impersona). Più che godibile, ben reso cinematograficamente pur essendo d'impianto teatrale, da vedere fosse soltanto per Luchini, uno dei più bravi e talentuosi attori in assoluto che siano in circolazione.

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