domenica 31 gennaio 2016

Revenant/Redivivo

"Revenant/Redivivo" (The Revenant) di Alejandro González Iñárritu. Con Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domhall Gleeson, Will Poulter, Forrest Goodluck e altri. USA 2015 ★★★★
Dopo il magnifico Birdman, uno dei migliori film degli ultimi anni, lo Iñarritu che non mi aspettavo e che ambienta nelle lande inospitali del Grande Nord Americano, in mezzo a una natura non addomesticata e in gran parte inesplorata, una storia di tradimento e vendetta che sta alla base di uno straordinario caso di sopravvivenza basato su una vicenda vera avvenuta attorno al 1820. Protagonista è Glass, uno scout taciturno che ha vissuto con una tribù indiana e conosce perfettamente il territorio, interpretato da un Leonardo DiCaprio in una delle sue migliori e più sofferte prestazioni, incaricato di riaccompagnare a un forte un gruppo di soldati e cacciatori di pelle attaccato e decimato da una tribù pellerossa. Rimasto vittima dell'attacco di un grizzly (la scena da sola varrebbe il prezzo del biglietto) e ridotto in fin di vita, viene curato per come possibile, ma alla fine risulta un impedimento per il rientro alla base della spedizione. Fitzgerald, il più infido e cinico del gruppo, si offre di rimanere al suo fianco e assicurargli, nel caso, una degna sepoltura, assieme a un ragazzo e al giovane figli di Glass, Hawk, un mezzo indiano rimasto orfano di madre, in attesa che i rinforzi li recuperino, ma lo tradisce nella maniera più vile. Glass sopravvive ancora una volta, e oltre alla sete di vendetta sarà il dolore per la perdita del figlio il carburante per non farlo desistere. A questo punto il film, che è un Western con tutti i crismi e gli stilemi del caso, ma privo di tutte le "americanate" hollywoodiane per cui è universalmente conosciuto, assume dimensioni epiche, sottolineate dal contesto selvaggio e solitario reso grandioso dalla magistrale fotografia di Emmanuel Lubezki, e inesorabilmente quanto incredibilmente il destino, dopo una serie di peripezie, si compie. Nonostante l'intensità e anche la crudezza di molte scene (dalle cure d'emergenza da parte di cerusici non professionali all'alimentazione da sopravvivenza) la mano di Iñarritu è sempre sicura e perfino lieve, senza strappi e drammatizzazioni eccessive, come se tutto venisse attutito dall'atmosfera incantata e maestosa dei paesaggi innevati e silenziosi, per quanto la tensione non venga mai meno nelle oltre due ore e mezzo di durata della pellicola. Oltre a quella di DiCaprio all'altezza anche gli altri interpreti, a cominciare dal "cattivo" Tom Hardy. Non è esattamente il genere che prediligo né lo Iñarritu che preferisco, però rimane un gran bel film. 

venerdì 29 gennaio 2016

Ultimo inventario prima di liquidazione


"PPP Ultimo inventario prima di liquidazione" di Ricci/Forte per "Viva Pasolini". Drammaturgia di Ricci/Forte. Con Capucine Ferry, Anna Gualdo, Liliana Laera, Giuseppe Sartori, Catarina Vieira. Scene di Francesco Ghisu; movimenti di Francesco Manetti; costumi di Gianluca Falaschi; assistente scenografa Lorena Curti; regia di Stefano Ricci. Coproduzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG / Festival delle Colline Torinesi. Al Palamostre di Udine fino al 31 gennaio
Ritorno a Udine, a poco più di un mese di distanza, del duo Ricci/Forte e compagnia per il loro secondo lavoro nell'ambito del vasto progetto "Viva Pasolini" che caratterizza la stagione in corso di Teatro Contatto 34 e di cui ha avuto luogo ieri sera al "Palamostre" la prima assoluta. Il senso di questo spettacolo dal forte impatto sia visuale, sia sonoro, sia emotivo è esattamente rappresentato dal titolo: una carrellata, in via evocativa, dei temi trattati da Pasolini e legati alla necessità di un'etica e che si sono persi in una società ormai completamente destrutturata per essersi votata al consumo e avere perso ogni contatto non solo con la propria identità precedente e la propria cultura, ma con la parte autenticamente umana di sé stessa: fenomenale l'entrata in scena delle cinque donne agghindate come manichini da grande magazzino inizio anni Sessanta al ritmo di uno scatenato cha-cha-cha ballato con movenze meccanizzate che ricordavano i "Devo". Non si procede per citazioni letterarie dalle varie opere di Pasolini ma se ne richiamano gli echi, specialmente delle ultime e più disilluse. Sulla scena di un bianco abbacinante dominata da una discarica di pneumatici (candidamente bianchi pure essi) cinque attrici, a esprimere i richiami (anche pubblicitari) di un mondo sempre più demenzialmente accelerato, atomizzato e in disfacimento, e un uomo, il bravissimo e intenso Giuseppe Sartori, anche qui notevolmente coinvolto fisicamente, a esprimere tutta la solitudine e lo sconcerto davanti allo sfascio di cui è testimone. Non occorre nient'altro da mettere sul piatto per far riflettere chi voglia e sia ancora in grado di farlo. Ricci/Forte, per far risuonare le corde fin dentro allo stomaco, ci riescono con dei testi che sono delle rasoiate, degli squarci alla Fontana, e un uso dei suoni compulsivo e ipnotico, per non parlare delle scelte musicali, sempre significative per quanto apparentemente paradossali: anche in questa occasione mi sono chiesto come possano essere così puntuali, dato che per quanto vasta sia la loro cultura in materia, nei tempi in cui andavano di voga erano ancora lontani dall'essere nati, il che dimostra che la visionarietà e la fantasia funzionano anche al passato. Come da titolo, l'inventario riguarda anche, se non soprattutto, il mondo dell'arte e della cultura: alle condizioni attuali, ha ancora un senso o siamo ormai alla liquidazione totale? Pubblico non molto folto, ma quello che c'era ha seguito con attenzione e rimanendo coinvolto questo spettacolo toccante e coinvolgente che si chiude con una citazione non letteraria ma fisica di "Petrolio", l'incompiuta opera postuma di Pasolini. Chi c'era, ha gradito; io trovo il teatro di Ricci/Forte terapeutico e "Inventario" mi è piaciuto moltissimo e lo raccomando.

giovedì 28 gennaio 2016

Il regalino


Mentre da tre giorni l'intera nazione disquisisce di mutande, in me cresce la convinzione che i mezzi di distrazione di massa abbiano compiuto ancora una volta mirabilmente la loro opera, i gonzi abboccato e che l'uccello padulo sia in volo pronto a rifilarci qualche sorpresa nel posteriore. Sensazioni, eh...

mercoledì 20 gennaio 2016

TSO


E poi quelli che delirano sarebbero i Cinque Stelle, che pure qualche problemino ce l'hanno? Questo tipo che ci sta governando da due anni, non è stato eletto da nessuno se non dal 70% di quei geni di iscritti e simpatizzanti del suo partito che l'hanno voluto segretario. Due milioni si persone che sono andate ai "gazebo" del PD. E che hanno la pretesa di imporre la loro volontà, a cominciare dalle attuali "riforme", una fotocopia del progetto del recentemente scomparso dottor Gelli e che si intitolava magicamente "Programma di rinascita democratica", a 60 milioni di italiani. Che un po' se la vogliono e se la cercano, diciamolo. Come i nostri confratelli argentini, tanto per ricordare qualche passaggio storico. Poi d'accordo, quello fuori di testa sono io. Avanti così: tanto fascisti siamo sempre stati e non ne siamo mai venuti fuori.

lunedì 11 gennaio 2016

Ciao David


Ciao, David Jones, e grazie di esserci stato. Una persona splendida, capace come pochi di entrare in sintonia con il prossimo: chi ti ha visto e sentito dal vivo, lo sa. Grazie ancora, di tutto.

domenica 10 gennaio 2016

Thanks for vaselina


"Thanks for vaselina" di Gabriele Di Luca/Carrozzeria Orfeo. Regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi. Con Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Beatrice Schiros, Ciro Masella, Francesca Turrini. Musiche di Massimilano Setti; luci di Diego Sacchi; costumi e scene di Nicole Marsano e Diego Ferrara. Produzione Carrozzeria Orfeo; Fondazione Pontedera Teatro; La Corte Ospitale; Festival Internazionale Castel dei Mondi Andria e *dedicato a tutti i familiari delle vittime e a tutte le vittime dei familiari.
Al teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 10 gennaio
Sapevo del successo avuto da questo spettacolo di "Carrozzeria Orfeo" e, avendolo perso a suo tempo, ho colto al volo l'occasione di vederlo riproposto in attesa del loro nuovo lavoro, "Animali da bar", che andrà in scena, sempre all'Elfo/Puccini", da domani al 17 gennaio. Convinto sostenitore delle tesi di David Cooper, non potevo che apprezzare la dedica * dello spettacolo e il suo argomento di fondo: gli effetti dirompenti dell'istituzione famigliare, microcosmo in cui si scatenano tutte le contraddizioni che inevitabilmente derivano dalle gabbie in cui l'esistenza umana viene "canalizzata" fin dalla nascita. Nel mio modo di vedere, che mi pare sia anche quello degli ideatori dello spettacolo, l'unica maniera di sopravvivervi è prenderne coscienza e sviluppare anticorpi sufficienti per non rimanerne vittime. Da questo punto di vista assistere a "Thanks for vaselina" ha un effetto catartico e liberatorio: sboccato delirio su una famiglia sui generis, con due amici sui trent'anni coltivatori di marijuana a domicilio, con il contorno della madre ludopatica di uno dei due, la bravissima Beatrice Schiros, che distribuisce pillole di buon senso pur non mancando di mendicare appena ne coglie l'occasione qualche spicciolo da giocare alle slot machine, e l'arrivo di Wanda, una ragazza con seri problemi di sovrappeso e di autostima, la cui apparizione casuale nel ménage ispira l'idea di utilizzarla come insospettabile corriere della droga in un traffico in senso inverso dalla rotta tradizionale, ossia dall'Italia al Messico, in segno di solidarietà coi fratelli latinoamericani vittime della forsennata politica USA di "lotta al narcotraffico" in casa dei produttori di cui sono essi stessi i massimi consumatori al mondo (segno inequivocabile, assieme a quello dell'uso di psicofarmaci, del tasso di criminalità e di omicidi, di un sistema malato di cui pure sono paladini ed esportatori in nome di una democrazia a dir poco malintesa). In questo caos (il plot ha aspetti decisamente tarantiniani) non poteva mancare il ritorno, proprio dal Messico, del padre di Fil e marito di Lucia, già tossicodipendente, dopo 15 anni di "terapia" in una comunità che si rivelerà essere una setta religiosa. Troppa carne al fuoco in quanto a tema trattato e una dizione non esattamente scolastica, secondo una parte del pubblico più agé e tradizionalista, ma la stragrande maggioranza di chi ha assistito a questa performance piena di energia, passione, entusiasmo ne ha decretato il gradimento con 5 minuti di applausi finali e un paio di battimani a scena aperta, a testimonianza del fatto che il gruppo di "Carrozzeria Orfeo" ha colto decisamente nel segno frugando nel disagio quotidiano e mettendolo in scena. Ferdinando Bruni, cofondatore con Elio De Capitani di quella splendida e viva realtà che è il "Teatro dell'Elfo", confuso ma riconosciuto dai più e alla mano come sempre, in fianco al quale, ho avuto il piacere di assistere a questa replica, sghignazzava soddisfatto dall'inizio alla fine. Qualcosa in più di una garanzia.

mercoledì 6 gennaio 2016

Italiano medio vs Quo Vado?

"Italiano medio" di Maccio Capatonda aka Marcello Macchia. Con Maccio Capatonda, Luigi Luciano, Lavinia Longhi, Barbara Tabita, Enrico Venti, Franco Mari, Gabriella Franchini, Francesco Sblendorio, Rodolfo D'Andrea, Matteo Bessofin, Anna Pannocchia, Nino Frassica, Pippo Lorusso, Raul Cremona, Andrea Scanzi. Italia 2015 ★★★★½
Per fortuna e per caso, mi è capitato di godermi questo film memorabile nel panorama della comicità italiana, quasi un unicum, che mi ero inesplicabilmente perso quando era uscito, nel gennaio dell'anno scorso, e ora riproposto su SKY, proprio la sera prima di andare a vedere l'attuale campione di incassi targato Checco Zalone, che pure ha tutta la mia stima e simpatia, ben più di chi ne ha fatto un caso nazionale incensandolo o denigrandolo a sproposito. I due film, pur avendo entrambi per oggetto, o meglio bersaglio, "l'italiano medio", mettendo in vetrina i ben noti vizi nazionali e sbertucciandoli a dovere, non potrebbero essere più diversi: spietato, irriverente, stralunato, delirante quello dell'"autartico" Maccio Capatonda, al suo esordio cinematografico, e del suo entourage di geniali artigiani borderline; tutto sommato indulgente e bonario, protagonista di una storia lineare e dal lieto fine, confezionata da professionisti del cinema di lungo corso e comprovato mestiere quello di Checco Zalone. L'alter ego di Maccio Capatonda è Giulio Verme, ostracizzato da una famiglia televisionata all'ultimo stadio, refrattario fin da piccolo non solo alla TV, ma ai media in generale e al consumismo di massa, che fugge al Nord, e precisamente a Milano dove, dopo essersi laureato, si riduce a lavorare come addetto alla raccolta differenziata, finendo per diventare un talebano dell'ecologia, oltre che animalista a oltranza e dunque vegano e ossessionato dalla sovrappopolazione del pianeta e quindi sostanzialmente votato all'astinenza sessuale, cosa che la fidanzata Franca, un'architetta brutterella più che insignificante, ma un po' più concreta dell'omino buffo e sentenzioso che si è scelta come partner, disapprova. Quando Franca si reca in Africa per un paio di settimane di volontariato, alla porta di Verme bussa un suo vecchio compagno di scuola, con la vocazione di "usciere", ridottosi a vendere bibbie a domicilio, il quale, vedendolo depresso, gli propina una pillola miracolosa che, per quel che capisce Verme, dovrebbe consentirgli di sfruttare le potenzialità del proprio cervello ben oltre il 20% d'ordinanza, mentre in realtà ne riduce le facoltà al 2%, ossia lo tramuta, nel periodo della sua efficacia, nel perfetto "italiano medio", e la trasformazione, come in Doctor Jekyll e Mister Hide, è comportamentale quanto fisica, fino a farlo diventare un'icona televisiva, vincitore di un grottesco quanto realistico "MasterVip". Maccio Capotonda, in questo suo omino ridicolo e ripugnante dalla personalità schizofrenica, ci mette dentro proprio tutto, il peggio del milanesoide cocainizzato-palestrato-depilato-tatuato quanto del cretinismo da "politicamente corretto", e lo fa con sacrosanta ferocia, in un crescendo rossiniano memorabile, degno del miglior Belushi e dei Monty Python: anche l'informazione ottiene la sua parte, e da segnalare è un cameo di Andrea Scanzi (di cui condivido quanto scritto su Zalone nel suo blog sul Fatto Quotidiano on line) nei panni di un giornalista televisivo in mezzo a una massa di colleghi invasati che, microfono alla mano, al capezzale di Giulio Verme, ne implorano una dichiarazione appena uscito dallo stato di coma. Un impietoso ritratto dell'Italia rimbecillita da un trentennio di televisioni commerciali distribuito, curiosamente, da Medusa, gruppo MerdaSet. Che ha prodotto e distribuito anche
"Quo Vado" di Gennaro Nunziante. Con Checco Zalone aka Luca Medici, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Paolo Pierobon, Azzurra Martino, Lino Banfi. Italia 2015 ★★+
Uscito nelle sale in un numero esorbitante di copie il 1° gennaio, opportunamente presentato dal suo protagonista nel bel mezzo delle festività natalizie, dando vita a una campagna promozionale cui ha abboccato, perché prezzolata o per stupidità luogocomunista, tutto il piccolo, provinciale mondo dei media nostrani, conferma quanto ho già detto a suo tempo di Sole a catinelle, la precedente pellicola del "fenomeno": Checco Zalone è un comico di talento, tra i migliori in circolazione, quello che più assomiglia ad Alberto Sordi nel riuscire a dipingere, per l'appunto, l'italiano medio ma in modo che questo possa riconoscervisi e perfino riderci sopra, e quindi in maniera accettabile. Le trame dei suoi film sono esili e si somigliano tutte, a partire dal personaggio che è sempre lo stesso, il bamboccione furbetto che non si scolla dalle cottole della mamma, cinico, cialtrone, codardo ma in fondo dall'animo buono e tutto sommato civilizzabile, a condizione di concedergli qualche trasgressione alle regole della convivenza su cui è sempre pronto ad autoindulgere. A tenerle insieme è lui, che si fa sempre accompagnare da colleghi all'altezza (e questo conferma l'intelligenza di Luca Medici): da notare la presenza della bravissima Sonia Bergamasco, attrice teatrale di vaglia, nei panni della dottoressa Sironi, un'alta funzionaria del ministero del Lavoro che ingaggia una lunghissima battaglia con Checco, cresciuto fin dalla più tenera infanzia con la religione del "posto fisso", per fargli dare le dimissioni dal suo impiego, travèt presso l'Ufficio Caccia e Pesca della Provincia di Bari, in seguito alla riforma renziana che ha abolito (di nome ma non di fatto) quest'ultimo ente. Zalone resiste a qualsiasi lusinga, anche di tipo economico, e a ogni trasferimento disposto dalla Sironi per farlo cedere, anche nelle sedi più disagiate e improbabili: perfino spedito al Polo Nord, presso una missione scientifica italiana nell'Artide che si sta squagliando, il nostro eroe rimane aggrappato al posto fisso come una cozza sullo scoglio, ma lì, in Norvegia, troverà l'amore in una ricercatrice idealista e dalla mentalità più aperta (per quanto vanesia e discutibile) della sua e sarà disposto, fino a un certo punto a "civilizzarsi" (la  trasferta al Nord a questo scopo è uno dei tanti punti in comune col film di Capatonda, come anche la missione umanitaria in Africa) e a deviare, senza strafare, dallo stereoptipo del mammone: il lieto fine è comunque assicurato e non lo anticipo. Dicevo dei punti in comune tra i due film ma al contempo di quanto più differenti non potrebbero essere: qui si sorride, là si sghignazza a più non posso fino a farsi venire i crampi allo stomaco; qui si va per gag, godibili ed efficaci di per sé, là per iperboli: il personaggio di Verme cresce man mano e le singole scene non rendono quanto l'insieme; qui la trama è un pretesto e la sceneggiatura nulla più che un mezzo per tenerla in piedi, là è strutturale, complessa, curata nei minimi dettagli, colma di citazioni azzeccate e a prova di bomba; Zalone è un'icona, sempre sé stesso; il Giulio Verme di Maccio Capatonda è un mutante, il suo volto si trasforma come fosse di plastilina, così come sono dei mutanti e mostruosi i personaggi che lo circondano, e inquietante, esattamente come la realtà, il mondo in cui si muovono, mentre è tutto sommato vivibile, con qualche compromesso, in Quo Vado? Checco Zalone è un bravo comico, tendenzialmente televisivo, una persona intelligente, comprensibile e accettabile per l'italiano medio (anche da quello che usa soltanto il 2% della propria capacità intellettiva, quella residua dopo il bombardamento mediatico); Maccio Capatonda è fuori categoria, un teatrante con doti mimiche straordinarie, un pazzo furioso e inaccettabile per l'Italiano medio, che non sarebbe nemmeno in grado di capire un film che pure si intitola a lui e gli è dedicato, e questo spiega ampiamente l'impatto mediatico abissalmente diverso dei due film e il rispettivo successo. Spero di rivedere Maccio Capatonda all'opera quanto prima, ammesso che qualcuno abbia il coraggio di concedergli una seconda possibilità.

venerdì 1 gennaio 2016