venerdì 2 ottobre 2015

La prima luce

"La prima luce" di Vincenzo Marra. Con Riccardo Scamarcio, Daniela Ramirez, Gianni Pezzolla, Luís Gnecco, Alejandro Goic. Italia 2015 ★★★½
Il tema del film è di quelli "tosti": il destino dei figli delle coppie separate di diversa nazionalità e le inimmaginabili traversie cui sono sottoposte le persone che vengono coinvolte nelle procedure dell'affidamento, regolate da leggi statuali che privilegiano i possessori delle rispettive cittadinanze. A prescindere da tutto e alla faccia della "globalizzazione": perché i capitali, gli investimenti, sono liberi di circolare; le persone no, e meno che mai i figli minorenni, che vengono sballottati in base al capriccio del genitore "contrattualmente più forte" (nel 95% dei casi la madre) e sottostanno a regolamentazioni che nulla hanno a che fare con le loro esigenze, meno che mai quelle affettive. Marra è riuscito a trattarlo in maniera esemplarmente obiettiva e scevra da prese di posizione aprioristiche e giudizi moralistici, nonostante traspaia un punto di vista maschile, solitamente sorvolato quando si parla di vicende di questo genere, ed era ora. Marco, un avvocato barese, e Martina, la sua compagna cilena, sono una coppia in crisi, unita dal piccolo Mateo, 7 anni, che col padre ha un rapporto affettuoso e senza problemi. Peccato che Martina cada in una depressione da disadattamento vieppiù monomaniacale, con la fissa di rientrare nel suo Paese d'origine (manco fosse il paradiso) che già, tra quelli del" Continente Desaparecido", è quello più turbato da un punto di vista psico-antropologico: sicuramente ha subito traumi spaventosi, ma la "cilenità", che conosco, ci mette del suo, e posso solo immaginare che il regista del film ne abbia fatto esperienza diretta, per descriverla così bene attraverso il personaggio di Martina: dogmatica, egocentrica, superba, saccente, morbosa, dialetticamente micidiale e una rompicoglioni da competizione. Marco, suo marito, un giovane avvocato barese che "segue l'onda" e, al di là del rapporto col figlio, non si fa alcuna domanda sul disagio che la sua compagna prova in una realtà diversa dalla sua (difficile quando hai a che fare con qualcuno che ti manda messaggi contraddittori...), sottovaluta il suo malessere finché lei non sparisce, portandosi dietro Mateo, direzione "casa", l'unica che considera tale: Santiago, Chile, "mamá". Una città di sei milioni di abitanti, dove Marco si stabilirà dopo aver venduto tutti i suoi "status symbol" per affittare un appartamento in pieno centro, e allo scopo di rintracciare il figlio si affida a un collega cileno nonché a un investigatore privato. Ci riuscirà, nonostante tutto, riuscendo a comprendere finalmente anche il disadattamento di Martina in Italia, dopo avere sperimentato il suo in Cile, e  proprio nel suo campo d'azione: lui avvocato, viene sottoposto a un giudizio di "idoneità", dopo essersi dovuto sottoporre a una serie di analisi psicologiche fatte apposta per metterlo in cattiva luce. E rinunciando a provare a rapire Mateo a sua volta, come invece aveva fatto Martina quando era fuggita  da Bari approfittando di una trasferta di lavoro del suo compagno. E' qui che si aprirà un raggio di sole: quando Martina (forse) riconoscerà a sé stessa che Mateo e Marco hanno il diritto a volersi bene e di non perdersi, nonostante le sentenze demenziali dei tribunali e, soprattutto, le loro incomprensioni di coppia. Oltre a Marra, che non è certo solo una "promessa", complimenti a Riccardo Scamarcio; a differenza della sua compagna,  Valeria Golino, di cui ha generosamente contribuito a produrre Per amor vostro, è in grado calarsi nel personaggio conferendogli tutte le sfumature, dalle più ambigue a quelle più sincere, del caso, senza per questo cannibalizzarlo. Buon film, e non solo per chi, maschio, ha qualcosa da ridire sul funzionamento dei tribunali di famiglia, in Italia come altrove. 

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