mercoledì 20 maggio 2015

L'Expo di Slow Food: la biodiversità della cadrega

Carlo Petrini, fondatore di Slow Food
Dopo mesi di silenzio assordante, e tre settimane dopo l'apertura dell'Expo di Milano, ecco che si ode finalmente la voce del fondatore e vate di Slow Food, Carlin Petrini, in occasione dell'inaugurazione, ieri, del padiglione dell'associazione all'interno di quello che lui stesso ha definito, con le sue parole, "un Circo Barnum". Per giustificarne la presenza, e operando i consueti distinguo: "Siamo qui perché la sedia vuota non paga mai", ha esordito: la logica della cadrega, da non mollare a nessun costo, e la rivendicazione del ruolo di testimonianza morale, di critica costruttiva ma non avversa al cambiamento e quindi assolutamente irrilevante, salvo che per ottenere uno strapuntino in questa kermesse in tutto e per tutto consumistica, che si concreta esattamente nell'opposto di quello che sarebbe il suo tema: "Nutrire il pianeta", con il trionfo dell'ormai consueto travisamento del senso delle parole. Sembra di ascoltare, nel discorso di Petrini, argomentazioni e toni della cosiddetta "minoranza del PD" davanti alle riforme fascistoidi del fanfarone fiorentino e della sua schiera di ascari della prima e dell'ultima ora. Tra i primi, proprio l'ineffabile Carlin, insieme all'altro luogocomunista dell'eccellenza gastronomica italiana, Oscar Farinetti, grande amico e sponsor dello Stronzie, e che all'Expo ha ottenuto, guarda caso, l'assai contestato appalto senza gara per due padiglioni per complessivi 8 mila metri quadrati che ospitano l'osteria più grande del mondo, il quale era naturalmente presente in sala ad ascoltare il suo collega e conterraneo. Dalla mitica facoltà di sociologia all'Expo, dal PdUP e dal Manifesto all'area PCI/PDS/DS fino a essere nominato tra i 45 promotori dell'esecutore testamentario di quest'ultima, ossia il PD: un percorso esemplare all'interno della sinistra nostrana, pressoché identico a quello di decine di migliaia di altri "reduci". Era armato delle migliori intenzioni, Petrini, quando fondò l'ArciGola nel 1986, in piena epoca di riflusso e di craxismo trionfante, che diventò Slow Food tre anni dopo, come reazione all'invasione delle catene di fast food che ormai era cosa fatta e aveva minato alla base l'alimentazione degli italiani, e avvenuta di pari passo, guarda caso, con quella delle TV commerciali che ne avrebbe divorato il cervello: non per niente l'Italia di oggi è l'innegabile frutto della "svolta", chiamata anche quella "modernizzazione", di quei miserabili, inverecondi anni Ottanta; meritorie le prima battaglie contro lo strapotere dell'industria agroalimentare, a favore delle piccole produzioni locali e quindi contro gli OGM, che lo videro al fianco di José Bové, oggi parlamentare dei Verdi europei; però man mano l'associazione ha perso di vista i suoi scopi, la sua rivista è diventata sempre più patinata e ostaggio degli inserzionisti, tra i quali sempre più presenti e invasivi proprio coloro contro cui a parole ci si batteva (con sempre meno convinzione); la stessa, un tempo benemerita, "Guida alle Osterie d'Italia", edita dalla casa editrice dell'associazione, è andata somigliando sempre più a quella "Gault e Millau"edita dall'Espresso, ossia la bibbia del radical-chicchismo autoctono. A posteriori, mi azzardo perfino a dire che Slow Food sia stata responsabile della banalizzazione e dell'appiattimento, anche estetico, dell'offerta gastronomica di "qualità a prezzi onesti", sempre più manierista, velleitaria, saccente e per niente a buon mercato e della pressoché totale sparizione delle beneamate bettole veraci in favore di locali da fighetta, che si fregiano dell'adesivo con la lumachina. Lo dico con rammarico, avendo preso una delle prime tessere dell'ArciGola al momento della fondazione ed essendo stato socio fino a una decina di anni fa dello Slow Food. Ed è con commiserazione che ascolto le arrampicate sugli specchi di Carlin Petrini oggi, a giustificare la presenza a un evento (lo chiama così anche lui, come un milanesoide qualsiasi) che non per nulla vede come main sponsors Coca Cola e MerDonalds, ben felici di invadere un intero pianeta da rimpinzare con le loro letali armi chimiche. Con il beneplacito, lo vogliano o no, delle anime belle che si prestano a dar loro una patente di credibilità soltanto partecipando al loro gigantesco spot pubblicitario.

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