martedì 10 marzo 2015

Timbuktu

"Timbuktu" (Le chagrin des oiseaux) di Abderrahmane Sissako. Con Ibrahim Ahmed, Toulou Kiri, Abdel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Jacoubi, Kettly Noël, Medy A. G. Mohamed, Layla Walet Mohamed, Adel Mahmoud Cheri. Salem Dendou. Francia, Mauritania 2014 ★★★★
Bel film, rigoroso, ben girato e con una fotografia notevole, valorizzata anche dall'ambientazione nella città di sabbia, dalla particolare e suggestiva architettura, il film trae spunto dalla lapidazione di una coppia non sposata avvenuta nel periodo, fortunatamente breve in cui Timbuktu, antica città tuareg, fu occupata dai jihadisti durante la guerra civile che di recente ha sconvolto il Mali settentrionale. La pellicola, presentata e premiata all'ultimo Festival di Cannes, esce in un momento quanto mai opportuno, con le vicende in corso in Siria, in Irak e nella vicina Libia. L'episodio di cui sopra, che occupa una breve ed esemplare sequenza che non ha bisogno di insistere su particolari grandguignoleschi per essere esplicativa e rimanere impressa, è soltanto uno degli esempi della follia fondamentalista che cerca di imporsi, con divieti demenziali, come quello di giocare al calcio o fare musica, e perfino imporre a delle pescivendole di coprire le mani con dei guanti mentre devono squamare e pulire il prodotto di cui vivono, su una civiltà antica quanto pacifica come quella tuareg. La vicenda principale ruota attorno a Kidane, un "uomo blu" che vive di pastorizia e musica in una tenda poco fuori dalla città assieme con la moglie Satima e alla dodicenne figlia Toya, deciso a rimanere mentre i suoi vicini se ne sono andati per sfuggire alle asfissianti intrusioni della polizia islamica, e che viene condannato a morte per avere a sua volta ucciso un pescatore durante una lite causata dalla perdita di un vitello finito nelle reti di quest'ultimo ed eliminato: secondo la sharia, applicata da un tribunale improvvisato, per salvarsi avrebbe dovuto risarcire la famiglia del pescatore con una mandria di 40 animali, richiesta assolutamente fuori dalla portata di chiunque. La sua, come quella dei due lapidati, è una storia esemplare attorno a cui ruotano altre vicende che vedono la popolazione alle prese con la quotidianità "jihadista", che viene combattuta con ironia (fantastica la partita di calcio giocata senza pallone per rispettare la "legge islamica") o il buon senso del mullah locale, uomo saggio e moderato il cui pensiero rispecchia quello della stragrande maggioranza della popolazione musulmana locale nonché quella del regista, che non è per nulla islamofobo ma che sottolinea e smaschera la follia e grettezza fondamentalista, resa evidente dalla stessa difficoltà che hanno non solo di farsi capire dalla popolazione ma perfino di comunicare tra loro (benché armati di cellulari di ultima generazione nonché di immancabili e moderni pick-up Toyota) pur pretendendosi portatori di un credo universale quanto assoluto. Un film forse orse un po' didascalico, in alcuni tratti, ma in questo caso non guasta, e permette di volgere lo sguardo verso luoghi che solitamente si preferiscono non vedere e di cui si conosce poco o nulla. 

Nessun commento:

Posta un commento