mercoledì 7 gennaio 2015

Il ragazzo invisibile

"Il ragazzo invisibile" (The Invisible Boy") di Gabriele Salvatores. Con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Noa Zatta, Christo Jivkov, Xenia Rappaport e altri. Italia, Francia 2014 ★★★★
Ho sempre ammirato molto la capacità di Gabriele Salvatores, fin dai suoi esordi teatrali (fu lui, assieme a Ferdinando Bruni, a fondare nei primi anni Settanta il mai abbastanza lodato Teatro dell'Elfo di Milano), di raccontare una storia in maniera lineare, in modo comprensibile a chiunque, senza abbandonarsi a masturbazioni mentali e diventare indigesto, metterla in scena con grande semplicità, affrontando senza timore generi diversi, possibilmente mischiandoli: ha vinto la scommessa anche questa volta, confezionando un film che si ispira ai supereroi dei Comics USA adattandoli a misura di adolescenti nostrani. Non solo del giorno d'oggi, ma si potrebbe dire di ogni tempo, perché ciascuno di noi può ritrovarsi in qualche modo nei panni dei vari personaggi e nelle situazioni in cui si vengono a trovare. Il protagonista è Michele, un ragazzino di una dozzina d'anni, figlio di una poliziotta rimasta vedova, la sempre brava Valeria Golino, in piena crisi di crescita: non particolarmente bravo a scuola né versato negli sport, in più segretamente innamorato della compagna di classe Stella, che non sembra accorgersi di lui; per questi motivi è vessato dai bulli della scuola, in particolare due, Brando e Ivan, su cui si abbatterà la sua sottile vendetta quando, dopo una festa di Halloween conclusa con la sua fuga, scoprirà di essere in possesso del super-potere di diventare invisibile. La prima volta se ne accorge per caso, man mano poi si impadronisce della tecnica per diventarlo a comando, anche dopo aver incontrato alcune persone che gli faranno capire i motivi di questo prodigio: l'appartenere a una categoria di uomini speciali, discendenti da persone sopravvissute a radiazioni che hanno origine negli esperimenti condotti durante la Guerra Fredda a Est della Cortina di Ferro e che hanno sviluppato delle mutazioni. La vicenda si svolge sull'inconsueto sfondo, per il nostro cinema, di una bellissima e luminosa Trieste autunnale e si sviluppa, di fatto, come una storia di formazione, in cui vengono affrontati tutti i dubbi tipici della adolescenza, fase di trasformazione come nessun'altra: sulla propria identità (e quindi visibilità agli occhi degli altri) e dimensione, su ciò che vero pure falso, giusto  o no. Non occorrono mirabolanti effetti speciali all'americana per suscitare la sorpresa, né un'accelerata spasmodica sulla velocità dell'azione per renderla comunque tesa, e il tutto contribuisce a rendere verosimile anche una sorta di fiaba moderna come questa. Sempre gradito vedere Bentivoglio che si divide in due, nei panni di uno stralunato psicologo della polizia che fa al contempo il doppio gioco, ed efficaci anche gli altri giovani interpreti, ma la riuscita del film si deve a mio parere proprio allo sguardo di Salvatores che ha sempre conservato qualcosa di infantile, giocoso, candido anche a sessanta e passa anni, e che riesce sempre a comunicare queste caratteristiche proiettandole sugli spettatori. Una certezza. 

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