venerdì 16 gennaio 2015

American Sniper

"American Sniper" di Clint Eastwood. Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Kyle Gallner, Navid Negahban e altri. USA 2014 ★★★¾
La grandissima stima che nutro per Clint Eastwood, soprattutto nei panni di regista, mi porta ad avere un pregiudizio positivo nei confronti dei suoi film e delle aspettative, di conseguenza, molto alte: nel caso di "American Sniper" è con disappunto che devo riconoscere che siano andate in parte deluse. Intendiamoci: è un gran bel film, girato in maniera come sempre impeccabile, pulita, con lo stile scarno che lo contraddistingue e che lascia parlare i fatti, l'essenza delle cose. In questo caso si tratta di una storia vera, tratta dall'autobiografia di Chris Kyle, "The Legend", il cecchino più implacabile che l'esercito USA abbia mai avuto, con 160 bersagli centrati, quattro turni per un totale di oltre 1000 giorni in Irak, diventato a sua volta bersaglio numero uno di un nemico che, come ogni americano-tipo, è incapace di capire nelle sue motivazioni, imbevuto com'è di retorica nazionalista e animato da un patriottismo che rende ciechi. Il buon vecchio Clint è in tutto e per tutto un americano, conservatore e coerente, ma ha il pregio di non essere obnubilato e di non giudicare: lo ha dimostrato in altri film di guerra, come Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, e anche qui è bravissimo a farne trapelare gli effetti devastanti in coloro che la combattono, intrappolati in un corto circuito da cui non sono capaci di uscire del tutto una volta rientrati nella vita normale. E' quel che succede a Kyle, che fino all'arruolamento a trent'anni nei Navy Seals, le forze speciali che proteggono i combattenti in prima linea, faceva il cow boy nel natìo e becero Texas, convinto per via della sua formazione famigliare del dovere di svolgere la sua missione di "cane pastore", date le sue prodigiose capacità di mira, in un mondo che si divide in pecore e lupi. Lo farà in maniera impeccabile, pur facendosi venire più di un dubbio, fino al rientro in patria e in famiglia, quando decide che è tempo di dedicarsi alla moglie e ai figli, cui nel frattempo è diventato quasi un estraneo, e agli altri reduci che però a differenza sua hanno subito traumi fisici irreparabili: ironia della sorte, finirà ucciso da uno di loro in un poligono di tiro, a 39 anni. La parziale delusione deriva da un effetto di dejà vu: le scene di combattimento (impeccabili) e le dinamiche personali sono estremamente simili a quelle di "Black Hawk Down" e soprattutto "The Hurt Locker" di Kathryn Bigelow, oltre al fatto che per me è impossibile provare vera empatia per un personaggio come The Legend. A colpire di più sono quelle che esprimono il disagio, lo straniamento del personaggio principale ogni qual volta rientra a casa dal suo turno di combattimento: la guerra gli si è scatenata dentro e non lo abbandona, ormai è l'unica dimensione che riesce a vivere e questo lo rende estraneo all'ambiente che lo circonda, e forse anche a sé stesso. Questa stolidità smarrita è espressa perfettamente dal protagonista, Bradley Cooper (molto somigliante peraltro al vero Kyle), e qualcuno ha detto che la grandezza di Clint Eastwood è dimostrata dal fatto di essere stato capace di farlo recitare; io preferisco pensare che il suo merito è di averlo scelto: recitare è un'altra cosa, e in tal caso è più efficace Sienna Miller nei panni della moglie. Insomma, un ottimo film, ma a mio parere non dei migliori del pur grande Clint. 

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