martedì 16 settembre 2014

Everyday Rebellion - La stronzata quotidiana

"Everyday Rebellion" di Arman T. Riahi, Arash T. Riahi. Svizzera, Germania, Austria 2013 
Mentre è superfluo parlare della qualità cinematografica, del tutto irrilevante, di questo documentario dei due fratelli Riahi, iraniani residenti in Austria, anche perché d'impronta prettamente televisiva, vale la pena spendere qualche parola sul contenuto, su come lo dice e su ciò che tace. Il lungometraggio tratta di sette differenti movimenti scoppiati attorno al mondo quasi contemporaneamente (alcuni sono stati trascurati perché i  finanziatori del progetto, tra cui il Programma Media dell'UE, e già qui viene da storcere il naso, hanno dato uno stop ai fondi: i primi a venire in mente sono quelli in Tunisia, Cile, Venezuela e Thailandia), dagli Indignados spagnoli a Occupy Wall Street, dagli epigoni dei Verdi iraniani alle Femen ucraine, dagli oppositori egiziani a Mubarak a quelli siriani di Bashar al Assad e a quelli serbi (Otpor) di Milosević, diversissimi tra loro in quanto a rivendicazioni ma che avrebbero in comune l'elemento delle pratiche ispirate alla non-violenza. Il condizionale è d'obbligo, e non tanto perché aneli a una purezza gandhiana quanto perché l'altro tratto comune, oltre al loro sostanziale fallimento, sta nell'aspirazione alla visibilità mediatica e, ottenuta questa, a un riconoscimento come interlocutori da parte delle stesse istituzioni oggetto della protesta. Il che è già un controsenso, ancora più evidente quando tutte le tattiche e forme di lotta messe in atto, da quelle più puerili e buoniste a quelle più provocatorie come quelle delle Femen, sono utilizzate per richiamare l'attenzione di quei media che, prima ancora del cosiddetto "potere politico" e della sua longa manus militar-poliziesca, sono lo strumento del Sistema, ossia il potere finanziario che ormai da decenni opera a un livello globalizzato e non più nazionale e nemmeno regionale, e quindi il primo e più tangibile nemico da combattere: altro che lo strumento da concupire, mentre è esso pronto e perfettamente attrezzato a manipolare ogni istanza come ogni notizia, stravolgendo sistematicamente il senso delle cose, costruendo una realtà fittizia e realizzando un pensiero unico. Detto questo, il documentario fa parte di un "progetto crossmediale che passa per il sito", come spiega il regista Arash T. Riahi. Premessa, a suo dire, che queste pratiche non-violente risultino efficaci e attecchiscano è "riuscire a resistere" almeno per due anni e mezzo. Dalle varie "primavere" del 2011 a oggi ci siamo. Femen a parte, assurte a Star e agli onori del gossip, di quali di questi epocali movimenti si sente più parlare? Controdomanda: chi cazzo aveva mai sentito parlare dell'ISIS, il famigerato Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, fino all'inizio di quest'estate, salvo chi andava a cercare, a fatica, notizie sulla guerra civile in atto in Siria? E che nel giro di alcuni mesi è riuscito a controllare un'area cruciale e delle dimensioni di una nazione media in un'area cruciale ed estremamente militarizzata e monitorata, con i suoi 30 mila (stimati) combattenti materializzatisi quasi all'improvviso, senza che satelliti, droni, controlli di frontiera e aeroportuali si accorgessero di niente? Andrebbe fatto un documentario serio su questo: chissà se il Programma Media dell'UE lo finanzierebbe...

Il territorio attualmente stimato sotto controllo dell'ISIS

2 commenti:

  1. Super...Il tema dei movimenti (tutti) comparsi negli ultimi anni e pressoché scomparsi dai media (Occupy resiste solo su Twitter, che io sappia) è pieno di tranelli e ambiguità.
    Nel senso che se da una parte le moltitudini aderiscono in massa perché indubbiamente vivono sulla propria pelle la realtà che da slogan efficaci alle loro battaglie (debito, diritto alla casa, povertà, etc), ciò che risulta poco chiaro è chi sostenga economicamente (e mediaticamente) gli ideatori fino a costruire una sorta di start-up mondiale del dissenso a patto che sia tassativamente non violento.
    Insomma, pare (a posteriori, che OccupyWallStreet e Indignados mi avevano coinvolto non poco), che la dinamica che fa nascere questi movimenti somigli parecchio a un format, così minuziosamente organizzato da essere esportabile in ogni paese.
    Risultati ottenuti sui temi trattati: molto scarsi.
    A voler essere sospettosi verrebbe da pensare che un obiettivo però sia stato pienamente centrato: spegnere possibili reazioni violente fagocitando le proteste cui è stata concessa visibilità, quindi l'illusione di contare davvero, tranne poi spegnerle sul piano dei cambiamenti reali.

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  2. Concordo.
    Solo i "peacemaker" funzionano (quasi) sempre..
    Infatti ISIS se ne sbatte altamente dei proclami di U.S.A. e accoliti...
    Tanto chi comanda davvero è chi li foraggia... e peccato che a farne le spese sono sempre gli stessi.
    Mandi!
    Raffaele

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