lunedì 11 novembre 2013

Something Good (ma non questo film)

"Something Good" di Luca Barbareschi. Con Luca Barbareschi, Zhang Jingchu, Gary Lewis, Kenneth Tsang, Michael Wong, Carl Long Ng, Frank Crudele e altri. Italia 2013 
A dispetto dei suoi trascorsi da parlamentare del PDL, reputo Barbareschi, qui al suo terzo lavoro come regista, un uomo intelligente e un buon attore, così mi sono fatto irretire da una critica letta non so dove e dall'argomento del film, il traffico internazionale di cibi adulterati, e sono andato a vedermi "Something Good". Girato professionalmente, non c'è che dire, con un cast all'altezza del genere noir a cavallo tra quello di stile francese e quello asiatico (grazie anche all'ambientazione ad Hong Kong, forse la cosa migliore della pellicola, insieme alle buone intenzioni), fotografia patinata, colonna sonora adeguata, ma è e rimane un polpettone televisivo troppo rabborracciato e compresso nei tempi per poter funzionare come film. Compressione che rende poco credibile la vicenda che vede al centro Matteo Mercury, un italiano abilissimo nel piazzare alimenti contraffatti o scaduti non solo a mense di vario tipo ma anche, e qui sta un colpo veramente grosso, derrate come il latte in polvere, oltretutto adulterato, alle organizzazioni, internazionali o non governative, che si occupano dei bambini affamati nel mondo, e in Africa in particolare. Un vero figlio di puttana, insomma, tanto bravo da meritarsi il posto di amministratore delegato di una ditta cinese specializzata nella produzione e nello smercio di simili prodotti. Ben conoscendo il mondo dei prodotti alimentari lui si guarda bene dal consumare quelli di uso comune e così, portato una sera a cena da un amico in un ristorante alla mano ma rinomato per la freschezza dei suoi prodotti, non fidandosi va a ispezionare la cucina dove fa il suo incontro con Xiwen, la cuoca e proprietaria, giovane, bella e affascinante, che ha fatto della qualità degli ingredienti la sua missione dopo che suo figlio di 4 anni, come si vede nella scena d'apertura del film, muore fulminato a causa di un'intossicazione alimentare. Da qui un tracciato scritto: diffidenza reciproca iniziale, poi lui si innamora di lei ed entra in crisi di coscienza; lei si innamora di lui; lui salva lei, o meglio il suo ristorante, dal rischio di chiusura (colpa delle banche ciniche e bare, e giù un'altra frecciata buonista e luogocomunista); lei salva lui, dalla galera, fornendogli un alibi (fasullo) per un omicidio che non ha commesso: tutto questo nell'arco di un paio di giornate, mentre  l'intrigo monta e la vicenda si complica di conseguenza in maniera sempre più inverosimile, la polizia è (in parte) corrotta, i cadaveri si moltiplicano e la storia d'amore, appena cominciata, è già finita, perché il nostro eroe alla fine tira le cuoia: svelo il finale cosicché chi ha avuto la pazienza e la bontà di leggermi fin qui eviti di andare a vedere questa brodaglia che, adeguatamente dilatata, poteva funzionare come serial TV in due puntate da 90-100' ciascuna, il format ideale per il pubblico di bocca buona di RaiSet, ma non sul grande schermo. Non ci siamo proprio. 

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