venerdì 15 febbraio 2013

Zero Dark Thirty

"Zero Dark Thirty" di Kathryn Bigelow. Con Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Mark Strong e altri. USA, 2012 ★★½
E' probabile che questo decimo film di Kathryn Bigelow nella gara degli Oscar venga preferito ad "Argo", ma secondo me non lo vale. Niente da dire sul fronte interpretazione, perché tutti gli attori sono convincenti, e in particolare Jessica Chastain nei panni della protagonista, Maya, una giovane ufficiale della CIA al cui intuito e cocciutaggine, che sconfina nella paranoia ossessiva, si deve la scoperta del rifugio del supposto Nemico Numero Uno dell'Impero Americano, Osama Bin Laden, e la sua uccisione in una villa-fortezza ad Abbottabad, in Pakistan, nel maggio di due anni fa; e niente da obiettare sulla regia della Bigelow, che da sempre si trova a suo agio nell'esprimersi in film d'azione che non si limitano a essere tali, ma c'è qualcosa che non convince, e questo a prescindere da ogni considerazione sulla veridicità della storia in sé, e intendo quella ufficiale e semi-ufficiale cui fedelmente si rifà la sceneggiatura, che puzza di montatura dei Servizi USA. E' chiaro che uno si siede in sala già sapendo che andrà ad assistere alla rappresentazione di una tipica ossessione americana, quella della vendetta sui presunti autori degli attentati dell'11 settembre 2001, e sull'assassinio premeditato, ché altro non si può chiamare, del loro ispiratore: perché mai nemmeno per un attimo in tutta la vicenda ripercorsa dal film della caccia al rifugio di Bin Laden, si è affacciata l'ipotesi di una sua cattura e, sia mai, di un eventuale processo. Nella prima parte del film, interminabile, la regista prova a raccontare, in maniera credibile e quasi documentaristica, affidandosi a dialoghi così fitti e concitati da risultare incomprensibili, i meccanismi di lavoro all'interno della CIA e, a parte egoismi, opportunismi e giochi di potere che vengono accennati ma mai chiariti fino in fondo, visti mille volte nei film sulla "Compagnia", si finisce per non capirci un accidente; anche la scena iniziale dell'interrogatorio sotto tortura di un prigioniero, che tanto aveva fatto storcere il naso ai benpensanti, è perfino innocua a fronte di quanto si è venuto a sapere con documentata certezza: insomma un quadro verosimile ma alquanto annacquato e spesso confuso. C'è di buono che la Bigelow non giudica, anche se sembra dare per buono il grosso della versione ufficiale, e così traspare in ogni occasione, probabilmente in maniera non intenzionale,  la profonda imbecillità, superficialità e stupidità che caratterizza non solo i funzionari ma anche i normali cittadini USA alle prese con realtà che non sono in grado di capire: ossia qualsiasi entità estranea al loro cortile di casa. Anche i più intelligenti di loro. Il film, inutilmente lento e arzigogolato nelle prime due ore, si riscatta nei 25' finali dell'azione del comando di "Canarini" che, partiti con particolari elicotteri "invisibili" da una base USA in Afghanistan, penetrarono abusivamente in Pakistan con obiettivo l'uccisone dello "sceicco del terrore", il cui rifugio da tempo era stato individuato grazie alle facoltà quasi divinatorie di una Maya sempre più anoressica, nevrotica e frustrata per l'inazione dei suoi superiori: operazione militare di infiltrazione nutturna, qui la Bigelow è una maestra, e anche in questa fase a un osservatore appena distaccato non sfuggono alcuni lati grotteschi: la sindrome da "arrivano i nostri" che è scolpita nella mentalità dell'americano medio, figurarsi i militari; uno dei due elicotteri che si incastra sul muro di cinta per una manovra errata e viene fatto esplodere all'evidente scopo per non farlo trovare integro ai pakistani (che sarebbero in teoria alleati), la sovrabbondanza di mezzi: addirittura candelotti di dinamite e strisce di plastico per far saltare dei  banalissimi lucchetti, il tutto per accoppare, in fondo, tre tizi ricercati e in camicia da notte, oltre ai danni collaterali di qualche moglie, parente o figlio (ma la verità non la sapremo mai) mandati pure loro sotto terra. Il cadavere del Grande Nemico, peraltro individuato da un militare che non l'aveva neanche visto per bene, verrà identificato dal capo della spedizione, che al più l'ha visto in foto e in video, e successivamente da Maya, la grande esperta. A noi deve bastare questo per avere la certezza che "giustizia è fatta" e che il "bene" ha trionfato sul "male supremo". Alla fine, un'ossessione individuale, quella della "killer" che si cela sotto le fragili sembianze di Maya, e quelle di una nazione che ha la tendenza a bersi tutte le balle che le vengono propinate da chi ne è alla guida e ha la presunzione che se le bevano pure gli abitanti di quelle che ritiene le sue colonie. E un film che in definitiva non convince: da Kathryn Bigelow è lecito attendersi qualcosa di più.

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