martedì 30 ottobre 2012

Cannolo siciliano

Ci hanno triturato gli zebedei per settimane raccontandoci che il risultato del voto alle regionali siciliane avrebbe anticipato le tendenze di quello nazionale. Eccoli serviti. Ma mica hanno capito, disquisiscono ancora e c'è pure il cretino che esulta per un "risultato storico". Se ne accorgeranno alla prossima occasione: è soltanto l'inizio.

sabato 27 ottobre 2012

Il comandante e la cicogna

"Il comandante e la cicogna" di Silvio Soldini. Con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Nicola Zingaretti, Luca Dirodi, Maria Paiato, Shy Yang, Serena Pinto, Michele Maganza. Italia, 2012 ★★★
Un film che vola alto, ma con leggerezza e ironia, come la cicogna Agostina del titolo che si libra nel cielo sopra Torino e ha un rapporto d'amicizia con l'introverso Elia, adolescente dall'animo filosofico, così come dall'alto le statue del comandante Garibaldi (con la voce tonante di Perfrancesco Favino), Verdi e Leopardi commentano le vicende che si susseguono sotto i loro occhi in un Paese che ha smarrito da tempo il senso di sé stesso come collettività e che vede i propri abitanti, che sono monadi e mai cittadini a pieno titolo, arrabattarsi nelle proprie misere ma necessarie vicende quotidiane, chi in buona fede, come Leo, idraulico coscienzioso e con socio cinese, padre amorevole di Elia e di Maddalena e vedovo inconsolabile di Teresa, una brava e sempre bella Claudia Gerini che fa la parte del fantasma in bikini; Diana, una stralunata e timida artista che non riesc e a trovare le parole per affermare i suoi diritti; lo strerpitoso Amancio interpretato da Giuseppe Battiston, "sensibilizzatore urbano" di ascendenza slave, colto e saggio provocatore dallo spirito situazionista ma al contempo esoso locatore del miniappartamento occupato da Diana, con la cui pigione paga l'affitto di una catapecchia e da 10 anni sopravvive senza doveri far schiavizzare dal lavoro. Un personaggio ambivalente, mentre nella schiera dei cialtroni e farabutti a pieno titolo entrano l'avvocato Malaffano, nomen omen, un efficacissimo luca Zingaretti dotato di toupet svolazzante, la sua segretaria e, sul fronte dei monumenti, la statua in cartongesso del Cavalier Cazzaniga, un cumenda brianzolo che fa da contrappunto a Garibaldi e che viene opportunamente decapitato dal braccio di un argano mentre sta per essere ripulito. E' una favola, surreale e delicata, che fa interagire spazi urbani inconsueti che solo un occhio attento ai particolari come quello di Soldini riesce a scovare e rendere, con un'umanità che è più reale di quel che potrebbe sembrare. Siamo dalle parti di "Pane e tulipani", a mio parere il miglior lavoro del regista milanese da quel bellissimo film. Una folata di aria fresca. 

venerdì 26 ottobre 2012

Far finta di esser Bersani

Se ne è andato com'era venuto, in video e preparato da un tassidermista, appendendo gli scarpini al chiodo dopo essere sceso in campo 19 anni fa, per usare le più viete metafore pallonare, nel suo consueto stile chiagni e fotti. Una fuga dalle proprie responsabilità ma tranquilli che ce lo ritroveremo nel prossimo Parlamento, eletto in un collegio brianzolo blindato, a meno che il laticlavio, a vita, con relativa immunità, non glielo garantisca Napolitano prima che scada il suo mandato: del resto se all'Unione Europea, e prima di essa a Barack Obama, è stato assegnato il Premio Nobel per la pace, perché non nominare senatore a vita un personaggio che ha illustrato e illuminato la scena politica, economica e giudiziaria nazionale per un ventennio esatto? In eredità ci lascia, oltre agli Alfani e agli Schifoni, Santanché, Formigoni e Galan a battersi per la sua successione, e vedrete che come un coniglio dal cilindro alla fine spunterà l'Uomo Nuovo, l'unico degno epigono dell'Unto del Signore: Briatore. In attesa di un evento che ritengo alla lunga inevitabile in un Paese come il nostro, siamo qui a trastullarci con le primarie di coloro che per idiozia o complicità hanno consentito al figuro di cui sopra di impazzare incontrastato per quattro lustri e all'attuale governo di demolire quanto restava di Stato sociale in Italia: anche se non è ancora chiaro se siano di coalizione, di quale coalizione, oppure una faccenda interna del PD (che comunque ne detta le regole). Dovrebbero eleggere il candidato premier. Peccato che non si sappia ancora con quale legge elettorale si andrà a votare, e quella invereconda tuttora in vigore ne prevede la mera indicazione sulla scheda, non l'elezione diretta, che rimane comunque riservata al Parlamento, e se si passa al proporzionale riformato non ci sarà nemmeno quella. Grande favorito, Pier Luigi Bersani, segretario in carica del partito degli zombie. Ora: premesso che il mio auspicio è che trionfi Renzi e che il PD imploda e sparisca una volta per tutte dalla circolazione, e che  l'unica tra i candidati da cui accetterei di provare ad essere governato è Laura Puppato, mi chiedo come si fa a essere così cretini da pensare di affidare la guida di un governo, e la conseguente nomina dei ministri, a un personaggio che ha nominato a capo della propria segreteria politica Filippo Penati, sotto processo per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti (il PD, per l'appunto) e come segretaria "personalissima" Zoia Veronesi, indagata per truffa alla Regione Emilia Romagna, perché lavorava di fatto per il partito (e il suo segretario) facendosi pagare dalla Regione, di cui è dirigente (senza laurea)? Non lo chiamereste incauto, o forse un po' coglione, un premier simile? Col rischio di ritrovarci al ministero degli Esteri D'Alema, pronto a dare il via libera al bombardamento dell'Iran dopo aver acconsentito a quello della Serbia? O Violante alla Giustizia? E la Finocchiaro agli Interni? E farsi venire un simile dubbio ed esprimerlo è forse diffamazione oppure rimane una semplice opinione, in considerazione della Legge Bavaglio in discussione in Parlamento?

giovedì 25 ottobre 2012

On the Road

"On the Road" di Walter Selles. Con Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Kirsten Dunst, Viggo Mortensen. USA 2012  ½
Ancora la dimostrazione, ove ve ne fosse stato bisogno, che è difficilissimo trarre un grande film da un grande libro, a meno di non essere dei grandi registi, lavorare su una sceneggiatura eccellente e disporre degli attori giusti. Tutti ingredienti che mancano a questo film che si limita a "ispirarsi" all'omonimo romanzo di Jack Kerouac, ma di cui sono riconoscibili situazioni e personaggi, a cominciare da Allen Ginsberg rivisitato in chiave macchiettistica e William Borroughs interpretato da un Viggo Mortensen più irritante che mai. La storia ruota attorno al rapporto tra Sal Paradiso, che con un cognome simile non si capisce a quale titolo interloquisca con la madre in québécois, aspirante scrittore newyorkese, il quale alla morte del padre intraprende un viaggio "sulla strada" attraverso gli States, e Dean Moriarty, un giovane sciupafemmine belloccio quanto cretino e irresponsabile, che il padre se l'è "perso" a Denver e non si è mai deciso a ritrovarlo, suo esatto contrario con cui però si completa alla perfezione. Di contorno la giovanissima moglie di Dean, Marylou, che ama le trasgressioni e i rapporti a tre, da cui Dean divorzia per la borghese Camille, una Kirsten Dunst insipida e sciatta in modo indisponente, trasferendosi a San Francisco: ma non lascia mai del tutto Marylou né rinuncia a fare il ragazzino, incapace com'è di crescere. E' tutto un muoversi e ritrovarsi, tra una sbronza e l'altra, un giro di mescalina e una fumata di erba, con contorno di concerti jazz scatenati, discorsi stralunati, situazioni inverosimili e velleitarismo a nastro. Il film si salva in parte per l'ambientazione d'epoca e le belle macchine, quelle sì, della fine degli anni Quaranta-inizio Cinquanta, quando non erano ancora fatte di plastica. La vena registica del brasiliano Walter Selles dà l'impressione di essere in calando: dal sorprendente "Central do Brasil" dell'ormai lontano 1998 ai "Diari della motocicletta" (tratti da quelli di Che Guevara) sempre di viaggio si tratta, ma scivolando verso il basso. Un film inutile, prima ancora che banale, di cui per primi non devono essere stati persuasi gli interpreti, tanto poco sono credibili e convincenti, e come se non bastasse prolisso e lento in maniera esasperante, il che per un film "On the Road" è davvero il colmo.

martedì 23 ottobre 2012

Cogan - Killin' Them Softly

"Cogan - Killin' Them Softly" di Andrew Dominik. Con Brad Pitt, Ray Liotta, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn, James Gandolfini, Richard Jenkins, Vincent Curatola. USA 2012 ★★★½
Quasi in contemporanea con "Killer Joe", compare sugli schermi "Killer Jack", nei panni di un sempre convincente Brad Pitt, contornato da un cast di caratteristi di livello superiore, alcuni ben noti nei film di mafia. Aleggiano anche qui letture e suggestioni tarantiniane, e l'ambientazione spostata anche qui nel Sud degli Stati Uniti, il Texas nel film di Friedkin e la Louisiana in questo lavoro del neozelandese Dominik. Siamo alla fine dell'era Bush, in piena crisi finanziaria, e le ultime battute della campagna elettorale tra Obama e McBain fanno da sfondo alla vicenda di due malviventi di mezza tacca che vengono convinti a rapinare una bisca clandestina della mafia, sicuri che la colpa verrà addossata al gestore, per via di una sua vecchia pecca. La mafia naturalmente vuol vederci chiaro e recuperare i soldi: l'intero del resto sistema è in crisi, quello "legale" come quelli illegale, che del resto funzionano alla stessa identica maniera e con le stessa logica (essenzialmente criminale anche nel caso della Grande Finanza). Così, tramite un avvocato che tiene i contatti, uno splendido Richard Jenkins, ingaggia Jackie Cogan, uno che "risolve i problemi", come il celebre Wolf, ma lo fa rimuovendo i "problemi" con dolcezza, evitando il più possibile il coinvolgimento personale, e così ingaggia, per una delle vittime segnate, che conosce personalmente e le cui implorazioni potrebbero turbarlo, un altro killer suo amico, interpretato da un James Gandolfini anche qui, come nei "Soprano", nei panni di un criminale in crisi esistenziale, che affoga nell'alcol e nella frequentazione di prostitute. Ci sono un paio di intoppi e alla fine Cogan deve provvedere di persona a tutte e tre le eliminazioni previste, e finisce con una grottesca trattativa sul prezzo concordato. Il film è chiaramente una metafora, come confermano i discorsi, dei due candidati presidenziali, incentrati sulla necessità di salvaguardare il sistema finanziario andato per aria grazie ai "sacrifici di tutti", in nome della"Unità della Nazione", degli "Ideali Americani", di una fantasmatica "Comunità Nazionale". Tutte balle  che sentiamo in continuazione con poche varianti anche nella vecchia Europa: lo sa bene Cogan, che afferma perentorio, nell'ultima scena, che negli USA non esiste alcuna comunità e che ognuno è solo, e che l'unico significato dell'America, la sua ragion d'essere, sono gli affari. E quindi anche la mafia, tramite il suo avvocato, deve stare ai patti. E pagare. Solo per questo finale il film merita ip prezzo del biglietto, ma anche per il resto non è niente male. 

domenica 21 ottobre 2012

La discesa di Orfeo

"La discesa di Orfeo" di Tennessee Williams. Drammaturgia e regia di Elio De Capitani. Con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Edoardo Ribatto, Luca Torraca, Corinna Agustoni, Sara Borsarelli, Carolina Cametti, Marco Bonadei, Cristian Giammarini, Debora Zuin Elio De Capitani e Alessandra Novaga (chitarra elettrica). Luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli. Produzione Teatro dell'Elfo. Al Teatro Elfo/Puccini di Milano fino al 4 novembre 2012
E' intensa, struggente e umorale come un blues la rilettura che Elio De Capitani fa di una delle ultime opere di Tennessee Williams, che era stata rappresentata per la prima volta in Italia a cura del "Teatro dell'Elfo" al Festival dei Due Mondi nel luglio passato, terzo omaggio della compagnia milanese all'autore statunitense nel centenario della nascita e a trent'anni dalla morte, alla luce della intensa esperienza fassbinderiana compiuta dagli "elfi" nel corso della loro esistenza. In uno spazio industriale si trovano a provare lo spettacolo undici attori e una chitarrista sempre in scena, che a turno entrano ed escono dai loro personaggi raccontando contesto e azioni dei personaggi, e questa "deambientazione" consente un racconto più fluido, con cadenze cinematografiche e tanto di flash back, pur riuscendo a rendere in maniera palpabile la opprimente, tesa e cupa   collocazione della vicenda nel profondo Sud degli Stati Uniti. E' in una cittadina claustrofobica, dove domina mai sopito il razzismo e si agitano sullo sfondo le ombre di Ku Klux Klan che "discende" Val, novello Orfeo armato di chitarra in spalla anziché di una lira, nonché dell'inseparabile giacca di pelle di serpente, e la sua Euridice sarà Lady, figlia di un immigrato italiano arso vivo nella sua vigna ,come scoprirà, ad opera del suo stesso marito, Jabe, un luciferino Luca Torraca, un possidente vecchio, malato e incarognito che la tratta come un oggetto di sua proprietà. Entrambi provano a cambiare vita e a riscattarsi, lei insistendo nel voler aprire a tutti i costi un locale, lui che mette fine al suo vagabondare per aiutarla e anche perché si è innamorato di lei. Terzo personaggio sognatore, che desidera cambiare il suo destino, la ricca, giovane ma ribelle Carole Cutrere, che sembra scritto apposta per la validissima interpretazione di Elena Russo Arman, sempre più brava. Attorno a loro, lo sceriffo Talbott, sua moglie Vee, che cerca di sfuggire a quel mondo sordido e violento attraverso la pittura, una efficacissima Corinna Agustoni, i suoi due scagnozzi e le rispettive mogli. Cristina Crippa più intensa che mai ed Edoardo RIbatto che conferma la sua piena maturità dopo Angels in America. Luci sciabolanti, spesso manovrate dagli attori stessi e una puntuale  sottolineatura musicale, in perfetto stile Elfo, rendono questa "Discesa" uno spettacolo godibile quanto emozionante e da non perdere, per chi apprezza un teatro moderno e vivo più che mai.

giovedì 18 ottobre 2012

Stupidario cafonal alla milanese


La penultima volta che ero venuto a Milano mi aveva colpito e fatto venire un attacco di cimurro l’insegna “Concept Store”, etichetta ideata dei creativi locali per definire un locale che non è né un negozio né un ristorante (pardon: il termine che va di moda è bistrò, in alternativa a vine bar) e avevo previsto l’evoluzione della specie, in attesa di vedere comparire una “pizzery”, e in effetti eccola che si sostanzia in via Ponte Vetero, nelle adiacenze di Brera, punto di ritrovo della fighetteria cittadina e di sboroni di ogni genere, locali e transumanti: il “Concept Restaurant”. Sa il cazzo cosa vuol dire, a parte essere un posto pretenzioso e caro come il fuoco che suscita limmediato desiderio di sfondarne le vetrine a badilate. Per il resto nell’arco di cinque mesi alcuni cambiamenti si notano, anche se il milanese-tipo rimane tale e quale: l’iPod ormai non è più di moda, sostituito dall’iPhone o da un suo simile che diventa l’appendice auricolare dei più; in bicicletta si va possibilmente in tuta, però è immancabile il casco in fibra di carbonio e preferibile la guida contromano o sui marciapiedi; il meneghino ha la passione del running e possiede tutto l’occorrente: la sua icona è Linus lo Juventinus, l’insopportabile direttore di Radio Deejay, colonna sonora del becerismo meneghino, che campeggia sui manifesti in ogni angolo della città; le donne si bilanciano sui trampoli o su scarpe dall’inclinazione malsana incedendo con andature da dromedario; sul resto dell’abbigliamento e delle acconciature stendo veli pietosi: quelle vestite più sobriamente sono le rare prostitute di professione che si trovano ancora in qualche rara strada. Insomma, il prototipo del milanese pirla rimane e in qualche misura si evolve, eppure se ne vede in giro in numero minore di un tempo sia in termini assoluti sia in termini relativi, perfino in pieno centro e nei luoghi e orari deputati. Di sicuro c’è molto meno traffico, e non soltanto nella Area C, quella a traffico limitato entro i Bastioni e a pagamento (in compenso vi circolano quasi esclusivamente SUV: volendo si potrebbe colpirli con un’ulteriore tassa ad hoc): il caro carburante ha colpito anche qui e la circolazione è sensibilmente più fluida rispetto a soltanto alla scorsa primavera. In generale, sembra venuta meno la voglia di scherzare e di fare i coglioni a manetta. A dominare sulla città non più la Madonnina, peraltro al momento ingabbiata, ma il “Formigone” che l’ha superata in altezza, la nuova pletorica quanto inutile sede della Regione Lombardia e simbolo perfetto della Milano cafona di inizio millennio, a imperitura memoria del Celeste che ne ha voluto a tutti i costi (esorbitanti) l’edificazione. E sarà sempre troppo tardi il momento in cui sparirà dalla circolazione. Magari definitivamente.

lunedì 15 ottobre 2012

Killer Joe

"Killer Joe" di William Friedkin. Con Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Thomas Haden Church, Gina Gershon, Juno Temple. USA 2011 ★★★★
Un ottimo film, spiazzante, carico di umorismo macabro, girato con mano esperta dall'anziano regista che già in passato ha firmato pellicole rimaste nella storia, come "L'esorcista" e "Vivere e morire a Los Angeles". E anche istruttivo sull'anima profonda degli USA, lontano dal glamour newyorkese o losangelino: qui siamo alla periferia di Dallas, Texas, e la vicenda ruota attorno all'assoldamento di un killer, il Joe del titolo, un poliziotto che arrotonda la paga eseguendo accurati "lavoretti" a pagamento, da parte di una famiglia di squinternati. Chris, uno spacciatore che gioca alle corse e perde regolarmente, e che non è riuscito a pagare una fornitura di coca; la sua stralunata sorella Dottie, suo padre Hanson e la sua bella e impudica seconda moglie si sistemerebbero se riuscissero a incassare l'assicurazione sulla vita della madre dei due fratelli nonché prima mogli di Hanson, un'alcolista da tempo fuggita col nuovo fidanzato. Joe non accetta pagamenti "dopo la consegna" e pretende Dottie come caparra. Da qui una serie di improvvisi cambi di situazione, dialoghi e situazioni surreali, niente è mai come sembra e la "verità" cambia spesso di segno: atmosfere che a tratti ricordano Tarantino; c'è anche una certa dose di splat, tutto sommato ironico, ma è tutta la sceneggiatura che funziona come un meccanismo a orologeria (la pellicola è tratta dall'omonimo lavoro teatrale di Tracy Letts che l'ha personalmente adattata per il grande schermo), e il finale è degno di quel che lo precede. Eccezionali tutti gli interpreti, bella colonna sonora, grande ritmo, suspence, sorprese. Un noir come si deve, un film che funziona.

domenica 14 ottobre 2012

Incontri con la musica

 Ado Furlan, Ritratto di Alfred Cortot e uno degli schizzi tracciati sul programma di sala

14 ottobre 2012, Spilimbergo, Palazzo Tadea, Piazza Castello 4, ore 17

Incontri con la musica
Giovanni Baffero nell'interprestazione di Fryderyk Chopin
Nell'aprile del 1953 lo scultore Ado Furlan ebbe modo di ascoltare a Udine un concerto di musiche di Chopin tenuto da Alfred Cortot. L'artista fu talmente colpito dall'interpretazione offerta dal grande pianista svizzero che sul programma di sala tracciò alcuni rapidi schizzi da cui in seguito avrebbe ricavato un ritratto che costituisce una delle opere più significative della sua maturità.
La Fondazione, orientata verso iniziative caratterizzate da una sempre maggior integrazione tra arti visive musica e letteratura, ha deciso di offrire al pubblico un concerto con lo stesso programma di quello tenuto a suo tempo da Cortot, costituito dall'esecuzione degli Studi e dei Preludi di Chopin. I brani saranno interpretati dal maestro Giovanni Baffero del Conservatorio Statale di Musica Jacopo Tomadini di Udine, che in occasione del bicentenario della nascita di Chopin ha eseguito tutte le sue opere pianistiche edite in vita in un ciclo di nove concerti.


venerdì 12 ottobre 2012

Gli equilibristi

"Gli equilibristi" di Ivano De Matteo. Con Valerio Mastandrea, Barbora Bobulova, Rosabell Laurenti Sellers, Antonio Gerardi, Maurizio Casagrande, Stefano Masciolini. Italia, 2012 ★★★+
Un buon film, forse per questo passato quasi inosservato, che è l'esatto contrario del penoso "Un giorno speciale": romano ma per niente stereotipato e cartolinesco, anzi: molto realistico e talvolta reale (come le  riprese alla Comunità di Sant'Egidio), che racconta in modo credibile una storia altrettanto vera, ossia di come facilmente si spezzi l'equilibro di un'esistenza normale, e in particolare la veloce caduta nella povertà che colpisce in particolare i padri separati. In questo caso Giulio, quarantenne impiegato al Comune di Roma, interpretato con grande sensibilità e bravura da Valerio Mastandrea, che si trova costretto a lasciare la casa e i figli di cui è un ottimo padre, perché la moglie non gli ha perdonato un tradimento che per lui non ha avuto nessuna importanza ma che per lei diventa un tarlo ossessivo. Qui apro una parentesi: non mi è ancora chiaro se Barbora Bobulova, un altro prezzemolo del cinema italiano al femminile, interpreti sé stessa, e sempre in ruoli simili, oppure sia una grandissima attrice, perché riesce a essere una moglie da non augurare al peggior nemico. Il risultato è comunque eccellente, in questo caso. La discesa nella miseria è rapidissima, con uno stipendio di 1200 € al mese, un mutuo da pagare, prezzi degli affitti (in nero) alle stelle, l'apparecchio odontoiatrico del figlio e la gita scolastica a Barcellona tanto sognata dalla figlia adorata (bravissima la sedicenne Rosabell Laurenti Sellers: una carriera assicurata): nonostante l'aiuto degli amici e un doppio lavoro a scaricar cassette all'ortomercato, Giulio si trova presto costretto a dormire in macchina mentre cade in in vortice depressivo che lo porta a cambiare anche lo stesso atteggiamento verso le persone che più ama, i figli. Ciò non avviene all'improvviso, e Mastandrea è straordinario nel rendere questo percorso con variazioni quasi impercettibili nello sguardo, nelle movenze, nel modo di parlare, facendo immedesimare lo spettatore nel personaggio, fino al pranzo di Natale alla mensa dei poveri. Forse c'è però una luce in fondo al tunnel: così l'ultima occhiata dell'attore, un tocco di speranza che forse è l'unica nota stonata del film. Che comunque dica una grande verità: il divorzio è un diritto soltanto per i ricchi.

martedì 9 ottobre 2012

Un giorno speciale

"Un giorno speciale" di Francesca Comencini. Con Giulia Valentini, Filippo Scicchitano. Italia 2012 ★ ½ Una delusione. Un tema importante, la condizione dei ragazzi di inizio Millennio, costretti a vendere la loro dignità o direttamente a prostituirsi per ottenere un lavoro, ridotto a una serie interminabile di stereotipi, dai padri assenti alle madri invasive e ossessive che proiettano i loro desideri frustrati sulle figlie; il mito del successo; lo squallore del mondo paratelevisivo: il tutto in un film che più romano non si può, anche se i due protagonisti, Gina e Marco, vengono dalle estreme periferie. Romano e romanesco nel senso deteriore del termine, perché il disagio giovanile e la ricerca di un impiego vengono inquadrati esclusivamente nel mondo che gravita parassitariamente attorno al potere politico che incombe sulla capitale, l'unica dimensione che la regista, che pure è una Comencini, sembra conoscere e prendere in considerazione. La ragazza è un'aspirante attrice che va in visita a un deputato per ottenerne l'appoggio in vista della carriera, in sostanza a prostituirsi, spinta dalla madre manicurista in un centro commerciale; lui un autista di auto a noleggio al primo giorno di lavoro. L'"onorevole" è oberato da impegni imprevisti (una votazione alla Camera a cui è "comandato" a partecipare pur col male alle ginocchia che lo tormenta, ma che non gli impedirà di sollazzarsi con Gina), per cui Marco, in attesa dell'appuntamento che viene continuamente rinviato, scorrazza la ragazza prima in un centro commerciale poi in un bowling di periferia, infine in giro per la solita Roma da cartolina, Piazza Di Spagna, Via Condotti, il Foro. Scoppia l'amore (forse) e una qualche reazione, l'unico momento di vita della pellicola, perché anche per quanto riguarda i due protagonisti il luogo comune impazza: lei pressoché anoressica, zeppe da 15 centimetri, maniaca del piercing e dei cazzi di tatuaggi; lui un brombolone ignorante ma dal cuore tenero; lei raccomandata dal poco onorevole parlamentare probabilmente forzitaliota, lui dal prete. Insomma una banalità dietro l'altra, e Roma, quella Roma, quella della RAI, di Cinecittà, l'unica che sembra esistere per il cinema nostrano, Caput non più Mundi ma Italiae, come sempre e per sempre, amen. Robetta: una pellicola da Moccia di pseudosinistra  che fa cascare le palle. A me ha fatto venire la malinconia e passare la voglia di fare un giro nella capitale che avevo in programma per il mese prossimo. Unica consolazione che il film sia una produzione relativamente low cost. Troppo alto comunque considerato il risultato.

domenica 7 ottobre 2012

Capolavoro zombie

Per una una settimana i media di regime ci hanno martellato a tempo pieno con l'assemblea del PD sulle primarie, tenutasi a Roma ieri, e che si è conclusa con la decisione di approvare una modifica allo statuto del partito tale da permettere la candidatura dello stornellatore fiorentino Matteo Renzi. Con lui, oltre a Bersani,  pare che saranno in corsa anche Laura Puppato, Valdo Spini oppure Niki Vendola. Insomma, nuovi zombie avanzano, a meno che non si presenti davvero Fulvio Abbate, l'unico candidato che prenderei in seria considerazione. Primarie di coalizione, si è detto, anche se non è ancora chiaro quali formazioni politiche ne facciano parte. Per il programma, lo riassume l'omelia domenicale odierna del Fondatore dell'organo ufficiale del PD, Eugenio Scalfari, e si sostanzia nell'Agenda Monti, che vede come suo esecutore (testamentario) nella prossima legislatura lo stesso professore bocconiano che ne è l'autore. Un altro morto vivente, però gradito all'Europa. Si è sentito delirare di albi di iscritti, pre-iscrizioni in gazebi o altri luoghi, primarie a doppio turno aperte o chiuse, ma nessuno che si sia posto la questione del perché mai le regole di primarie di coalizione debbano essere dettate, in definitiva, dal partito che se ne ritiene, forse per diritto divino, "l'azionista di maggioranza", quando non è ancora definito chi ne farà parte; e tantomeno del perché non vi possa partecipare, e questo senza particolari precondizioni o formali dichiarazioni di intenti, qualsiasi cittadino ne abbia desiderio, sia o no elettore del PD come di qualsiasi altro partito che le organizzi, dal momento in cui tutti i partiti presenti in Parlamento o nelle assemblee elettive sono finanziati con denaro pubblico, ossia di tutti indistintamente i cittadini. Vi rinuncino, e allora stabiliscano pure come meglio credono le regole interne per la presentazione dei candidati e la compilazione delle liste elettorali, e chiusa la questione. Non così come stanno le cose. Peccato che non ce ne sia uno, fra i tromboni dell'informazione cloroformizzata, a scriverlo o a dirlo. Invece fanno da megafono alle farneticazioni del pettinatore di bambole che a proposito delle decisioni di ieri straparla di capolavoro di democrazia e assicura che "se  usciamo bene dalle primarie non ci ammazza più nessuno". Parola di zombie.

giovedì 4 ottobre 2012

Reality

"Reality" di Matteo Garrone. Con Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Nello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D'Urso, Claudia Gerini. Italia, 2012 ★★★★+
Arriva finalmente sugli schermi la pellicola che ha vinto il "Grand Prix", secondo premio all'ultimo Festival di Cannes, quattro anno dopo la conquista della "Palma d'Oro" con "Gomorra". Se possibile, "Reality", che si colloca tra la farsa e il dramma, tra la favola e la commedia, è ancora più duro e disperato del suo predecessore, facendo un ritratto senza speranze di un'umanità devastata dall'imbonimento televisivo e dall'illusione salvifica del "quarto d'ora di notorietà" che spetterebbe a tutti i devoti della civiltà catodica e guardona. Il film, ambientato nella piazza di una Napoli un po' rétro, ricco di citazioni e riferimenti mai banali ma nemmeno saccenti, è una metafora amara che coglie nel segno e ha una valenza universale. Protagonista assoluto Luciano Ciotola, che gestisce una pescheria e arrotonda le entrate della numerosa famiglia con cui convive in un caseggiato fatiscente attraverso qualche intrallazzo truffaldino, si fa convincere dalla figlia più piccola a partecipare al casting di un 'edizione de "Il grande fratello", complice anche Enzo, un ex ospite della "casa", deus ex machina che ha raggiunto la fama e che, elitrasportato, plana su matrimoni faraoinici come se fosse lo Spirito Santo benedicendo le fresche coppie di sposi con la sua frase-mantra: "don't give up". Che è quello che farà Luciano, intraprendendo una sorta di viaggio a tappe nell'allucinazione televisivo-mediatica ai tempi di "Endemol" che  lo porta a confondere la realtà con l'immaginazione, fino alla paranoia e all'alienazione totale, nell'illusione che sarà prima o poi chiamato a partecipare alla trasmissione. Nel frattempo la sua esistenza precipita in un gorgo senza fondo, chiude la sua attività, comincia a regalare i suoi beni ai diseredati, convinto com'è che queste "buone azioni" impressionino favorevolmente gli emissari della trasmissione che, nei suoi deliri è sicuro che seguano di nascosto tutti i suoi movimenti; si sfaldano anche le sue relazioni personali a cominciare da quella con la moglie Maria, che pure lo ama; cade in depressione fino ad uscirne grazie a una sorta di crisi mistica che, attraverso prima un'attività di volontariato (sempre di "opere di bene" si tratta), poi la devota partecipazione alla via crucis che ogni anno si organizza a Roma per Pasqua, lo porterà, finalmente, nell'agognata "casa" e a una sua personale sorta di redenzione. E' una pellicola visionaria e al tempo stesso realistica, che si avvale di un cast di interpreti eccezionalmente bravi e convincenti, a cominciare da Aniello Arena, nella parte di Luciano. Gran bel film, da non perdere.

martedì 2 ottobre 2012

I nuovi mostri / Lombroso aveva ragione

Francesco Fiorito

Umberto Bossi e Francesco Belsito
Filippo Penati
Renata Polverini
Antonio Mastrapasqua

Elsa Fornero
Roberto "Celeste" Formigoni

E poi ci si stupisce che l'Italia sia in crisi e che tocca fare i "sacrifici". E magari anche i fioretti e la penitenza...

lunedì 1 ottobre 2012

Grande vecio

E' morto a Londra a 95 anni Eric Hobswbawm, nato Obstbaum ad Alessandria d'Egitto il 9 giugno del 1917 da una famiglia austro-ebraica. Storico di formazione marxista, mai dogmatico, il titolo di uno dei suoi più famosi lavori, "Il secolo breve", fu la definizione più fulminante e precisa del XX Secolo mentre il XIX, cui dedicò una trilogia fondamentale, lo chiamava il "secolo lungo", datandolo dalla Rivoluzione Francese del 1789 allo scoppio della Grande Guerra nel 1914. Unanimemente riconosciuto il maggiore storico britannico e uno dei più importanti al mondo, ha influenzato intere generazioni di studiosi, di semplici appassionati e di persone che volevano farsi un'idea degli argomenti che trattava, sempre con uno stile piacevolissimo, vivace, arguto, così com'era lui di persona, con uno sguardo entusiasta e curioso da bambino e un sorriso eternamente sulle labbra anche quando era ormai pressoché immobilizzato dalla vecchiaia. Spirito libero, era un appassionato di musica jazz e non disdegnava il pop, di cui scriveva anche. Voglio ricordarlo con l'ultima parte di un'intervista che aveva rilasciato a Wlodek Goldkorn per L'Espresso nel maggio scorso e che trovate nella versione integrale qui. Se volete un "coccodrillo" come si deve, quello del Guardian di oggi è esemplare. Viveva a Highgate, presso Londra, nel cui cimitero è sepolto Karl Marx. Chissà se riposerà a fianco del suo mai rinnegato maestro!

[...]«Intanto in Occidente abbiamo i banchieri centrali che ci dicono cosa fare. Si parla di conti, numeri, ma non dei desideri degli umani e del loro futuro. Si può andare avanti così?
"A lungo termine, no. Ma sono convinto che il vero problema sia un altro: l'asimmetria della globalizzazione. Certe cose sono globalizzate, altre super-globalizzate, altre non sono state globalizzate. E una delle cose che non lo sono state è la politica. Le istituzioni che decidono di politica sono gli Stati territoriali. Rimane quindi aperta la questione come trattare problemi globali, senza uno Stato globale, senza un'unità globale. E questo riguarda non solo l'economia, ma anche la più grande sfida dell'esistente, quella ambientale. Uno degli aspetti della nostra vita che Marx non ha visto è l'esaurimento delle risorse naturali. E non intendo l'oro o il petrolio. Prendiamo l'acqua. Se i cinesi dovessero usare la metà dell'acqua pro capite utilizzata dagli americani non ce ne sarebbe abbastanza nel mondo. Sono sfide dove le soluzioni locali sono inutili, se non a livello simbolico".

C'è un rimedio?
"Sì, a patto che si capisca che l'economia non è fine a se stessa, ma riguarda gli esseri umani. Lo si vede osservando l'andamento della crisi in atto. Secondo le antiquate credenze della sinistra la crisi dovrebbe produrre rivoluzioni. Che non si vedono (se non qualche protesta degli indignati). E siccome non sappiamo neanche quali sono i problemi che stanno per sorgere, non possiamo nemmeno sapere quali saranno le soluzioni".

Può fare qualche previsione comunque?

"E' estremamente poco probabile che la Cina diventi una democrazia parlamentare. E' poco probabile che i militari perdano tutto il loro potere nella maggior parte degli Stati islamici".

Lei ha sostenuto la necessità di arrivare a una specie di economia mista, tra pubblico e privato.
"Guardi la storia. L'Urss ha tentato di eliminare il settore privato: ed è stata una sonora sconfitta. Dall'altro lato, il tentativo ultraliberista è pure miseramente fallito. La questione non è quindi come sarà il mix del pubblico con il privato, ma quale è l'oggetto di questo mix. O meglio qual è lo scopo di tutto ciò. E lo scopo non può essere la crescita dell'economia e basta. Non è vero che il benessere è legato all'aumento del prodotto totale mondiale".

Lo scopo dell'economia è la felicità?
"Certo".

Intanto crescono le diseguaglianze.
"E sono destinate ad aumentare ancora: sicuramente all'interno dei singoli Stati, probabilmente tra alcuni Paesi e altri. Noi abbiamo un obbligo morale nel cercare di costruire una società con più uguaglianza. Un Paese dove c'è più equità è probabilmente un Paese migliore, ma quale sia il grado di uguaglianza che una nazione può reggere non è affatto chiaro".

Cosa rimane di Marx? Lei, in tutta questa conversazione non ha mai parlato né di socialismo né di comunismo...
"Il fatto è che neanche Marx ha parlato molto né di socialismo né di comunismo, ma neanche di capitalismo. Scriveva della società borghese. Rimane la visione, la sua analisi della società. Resta la comprensione del fatto che il capitalismo opera generando le crisi. E poi, Marx ha fatto alcune previsioni giuste a medio termine. La principale: che i lavoratori devono organizzarsi in quanto partito di classe".

In Occidente si parla sempre meno di politica e sempre più di tecnica. Perché?
"Perché la sinistra non ha più niente da dire, non ha un programma da proporre. Quel che ne rimane rappresenta gli interessi della classe media istruita, e non sono certo centrali nella società".