martedì 24 luglio 2012

L'economia reale e quella virtuale del contabile Mario Monti


A dispetto della tono monocorde e robotico della voce, Mario Monti si sta rivelando un propalatore di balle e venditore di fumo che il suo predecessore a Palazzo Chigi gli fa un baffo: in più ha un talento per la battuta strepitoso perché involontario, intrisa di uno spirito surreale a cui ha attinto nel suo lungo soggiorno meneghino, che gli garantisce un futuro nel caso in cui riuscissimo clamorosamente a liberarcene, invece di ritrovarcelo da qui ad libitum a capo di un governo di emergenza a tempo indeterminato o al Quirinale per un settennato o forse due, eventi che ci sta preparando la casta tutta intera, in un'unità d'intenti che non ha precedenti nella storia Repubblicana. L'ultima gag ieri, all'altezza del Peter Sellers che interpretava Chance in "Oltre il giardino", mentre era in visita, cappello in mano, al duo Putin-Medvedev, la coppia intercambiabile alla guida della cleptocrazia russa post sovietica. Davanti al crollo delle borse, del tasso di cambio dell'euro e al divaricarsi del differenziale di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi, il Magnifico ha ammesso che "la situazione è difficile, e per uscirne bisogna puntare sull'economia reale". Come se ce ne fosse una virtuale. O forse si riferiva a quella non produttiva ma puramente speculativa, che però è l'unica di cui abbia conoscenza, avendo dedicato una vita alle banche d'affari, prima teorizzandole come docente e poi rettore della Bocconi, l'ateneo milanese che ha prodotto generazioni di commercialisti, raider finanziari, broker e manager che hanno trascinato il Paese allo stato in cui si trova, e poi offrendo i propri servigi alla più nefasta tra esse, la Goldman Sachs. Esperienza che ha condiviso con il governatore della BCE Mario Draghi, per cui erano e rimangono ampiamente prevedibili le "medicine" per contrastare la crisi, ossia i "compiti a casa", come usa chiamarli Angela Merkel usando una locuzione puerile e di una banalità sconcertante, immediatamente adottata dai media più compiacenti e lecchini di tutto il Continente. "In questo senso - dell'economia reale -  per l'Italia la Russia è un punto di ancoraggio di importanza strategica": così Mario Monti. Andiamo bene: sembra di riascoltare le sperticate dichiarazioni d'amore di Berlusconi all'amico Putin, campione di democrazia e socio d'affari "affidabile" quant'altri mai. Intanto EuroStat comunica che il debito pubblico italiano nel primo trimestre dell'anno si è attestato al 123,3% sul PIL, un record storico (quello precedente nel 1995, al 120,9%) secondo, nell'UE, soltanto alla Grecia (132,4, in lieve calo). Da notare che l'aumento del debito non è solo in rapporto al PIL che, con un Paese impantanato in una recessione senza precedenti dal Dopoguerra, è facilmente spiegabile, ma anche in termini assoluti. L'ultimo dato disponibile, fonte la Banca d'Italia, risale a soli 9 giorni fa: a fine maggio era a quota 1966,303 miliardi di euro, con un aumento di 17,061 milioni sul mese precedenti. Come mai? Questa è una domanda che nessuno si sogna di fare all'illustre tecnico nonché professore che dal novembre scorso governa l'Italia, con la missione di "salvarla". Tutta o quasi allineata e coperta a lodare questo mediocre contabile dalle battute paradossali e agghiaccianti, la pseudo-informazione italiana insieme a tutta la combriccola dei cosiddetti intellettuali, così come  nella difesa a oltranza del Capo dello Stato, anche quando si avventa contro il potere giudiziario. E siamo soltanto all'inizio: il peggio deve ancora venire.
Evoluzione storica del rapporto debito/PIL italiano dal 1969 al 2009. A fine marzo, 123,3% è stato superato il precedente record del 1995: 120,9%

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