"Hunger" di Steve McQueen. Con Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon. Gram Bretagna, Irlanda 2008 ★★★★
Un film duro, intenso, bello, necessario: per ricordare la bestialità del governo britannico, tanto democratico in casa sua quanto repressivo in quella altrui, in primis di quella belva che fu Margaret Thatcher; e il sacrificio di Bobby Sands, che portò alle estreme conseguenze uno sciopero della fame a oltranza indetto il 1° marzo del 1981 dai detenuti per "terrorismo" nel carcere nordirlandese di Maze, a cui non veniva riconosciuto lo status di prigionieri politici. Alla sua morte, avvenuta dopo 66 giorni dall'inizio dello sciopero, ne seguì quella di altri 9 compagni di prigionia, dal maggio all'agosto dello stesso anno, nella totale sordità del governo Thatcher. Il film si divide in due parti: la prima descrive, prevalentemente per immagini e con scarsissimi dialoghi, i precedenti, ossia la "protesta della coperta", coi i detenuti che si rifiutavano di vestire l'uniforme della prigione coprendosi solo con una coperta, e la "protesta dello sporco", durante la quale vivevano nei propri escrementi; le angherie da parte delle guardie, la violenza del sistema, il fallimento di un primo sciopero della fame, interrotto dopo vaghi impegni mai mantenuti da parte del governo; e la seconda in cui, quasi senza parole, è mostrato il calvario di Sands, interpretato da uno strepitoso Michael Fassbender, fortemente calato di peso durante la lavorazione della pellicola e immedesimatosi nella parte in maniera stupefacente (del resto è d'origine irlandese). In mezzo il dialogo tra Bobby Sands e il sacerdote cattolico che fa chiamare per comunicargli la sua decisione, interpretato da un sontuoso Liam Cunningham: tutto quanto c'è da dire sul disporre del proprio corpo, ultima risorsa inalienabile rimasta per affermare i propri principi di libertà, e dunque sull'utilizzo del libero arbitrio, è in questo lungo, magistrale piano-sequenza che dura una ventina di minuti. Un film destinato a rimane scolpito nella memoria, di cui non si riesce a capire l'arrivo in Italia ben quattro anni dopo la sua uscita in patria.
Un film duro, intenso, bello, necessario: per ricordare la bestialità del governo britannico, tanto democratico in casa sua quanto repressivo in quella altrui, in primis di quella belva che fu Margaret Thatcher; e il sacrificio di Bobby Sands, che portò alle estreme conseguenze uno sciopero della fame a oltranza indetto il 1° marzo del 1981 dai detenuti per "terrorismo" nel carcere nordirlandese di Maze, a cui non veniva riconosciuto lo status di prigionieri politici. Alla sua morte, avvenuta dopo 66 giorni dall'inizio dello sciopero, ne seguì quella di altri 9 compagni di prigionia, dal maggio all'agosto dello stesso anno, nella totale sordità del governo Thatcher. Il film si divide in due parti: la prima descrive, prevalentemente per immagini e con scarsissimi dialoghi, i precedenti, ossia la "protesta della coperta", coi i detenuti che si rifiutavano di vestire l'uniforme della prigione coprendosi solo con una coperta, e la "protesta dello sporco", durante la quale vivevano nei propri escrementi; le angherie da parte delle guardie, la violenza del sistema, il fallimento di un primo sciopero della fame, interrotto dopo vaghi impegni mai mantenuti da parte del governo; e la seconda in cui, quasi senza parole, è mostrato il calvario di Sands, interpretato da uno strepitoso Michael Fassbender, fortemente calato di peso durante la lavorazione della pellicola e immedesimatosi nella parte in maniera stupefacente (del resto è d'origine irlandese). In mezzo il dialogo tra Bobby Sands e il sacerdote cattolico che fa chiamare per comunicargli la sua decisione, interpretato da un sontuoso Liam Cunningham: tutto quanto c'è da dire sul disporre del proprio corpo, ultima risorsa inalienabile rimasta per affermare i propri principi di libertà, e dunque sull'utilizzo del libero arbitrio, è in questo lungo, magistrale piano-sequenza che dura una ventina di minuti. Un film destinato a rimane scolpito nella memoria, di cui non si riesce a capire l'arrivo in Italia ben quattro anni dopo la sua uscita in patria.