sabato 10 marzo 2012

Nel limbo di China Town

KUALA LUMPUR - Ritorno alla base operativa di questo viaggio nel Sud Est Asiatico, questa volta definitivo, prima del rientro nella Terra dei Cachi. Da dove nel frattempo mi giunge la notizia, prevedibile conoscendo l'Italia, dell'annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza di appello che aveva condannato a sette anni di galera Marcello Dell'Utri. Ora si terrà un nuovo appello, ma il rischio prescrizione, grazie alle leggi salva-Berlusconi, è altissimo. Ciò che fa più vergogna, sono le affermazioni del PG della Cassazione Francesco Iacoviello, conosciuto anche come lo "smonta-prove" (qui i suoi illuminanti precedenti), secondo il quale il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ideato da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per colpire i "colletti bianchi" conniventi, è diventato un reato "autonomo, indefinito, a cui non crede più nessuno". Come dire: è desueto lo strumento dei giudici antimafia, inutile. In sostanza, la mafia non esiste: teoria non nuova in un Paese come il nostro. Nell'imminenza dal rientro in patria, la tentazione di chiedere asilo politico in Malaysia è forte. Perché 'a nuttata, con simili premesse, come se non bastasse il governo Monti, formato dai personaggi più arroganti e fuori dalla realtà quotidiana che abbiano mai guidato l'Italia, promette di essere infinita. Intanto sfrutto le ultime ore nella vivace China Town di Kuala Lumpur per fare il pieno di corroboranti zuppe di noodles con gli ingredienti più diversi e di acquisti di spezie, tè e curiosi oggetti usciti dalla fervida fantasia dei figli del Celeste Impero, e mi sembra di essere in una sorta di limbo, in attesa di rientrare in una realtà sempre più squallida da cui non riesco a intravedere vie d'uscita. Poi ci si chiede perché chi appena può tagli la corda...

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