giovedì 2 febbraio 2012

Elogio del gatto birmano


Nyaungshwe / Lago Inle - Giornata piena di quiete emozioni, quella della  prima escursione sul Lago Inle: ma le più grandi e sorprendenti sono state di natura felina. Siccome ho voluto concedermi il lusso (relativo) di una lancia tutta per me per l’intera giornata: quindici dollari per l’assoluta libertà di stabilire il percorso e il tempo delle soste nelle varie tappe, compreso il conducente e un ragazzo che funge da interprete, avevo dato priorità assoluta alla visita del monastero di Nga Hpe Kyaung, ossia “Monastero del gatto che salta”, se è corretta la traduzione che me ne hanno dato. Erano anni che mi perseguitava una foto del monaco, accosciato sul pavimento, che teneva un cerchietto in mano e di un gatto che vi saltava dentro centrandolo alla perfezione, nella postura di un coniglio che facesse un tuffo a candela in acqua. Logica ha voluto che la visita avvenisse nel primo pomeriggio, visto che avevamo attraversato il Lago da Nord alla sua estremità meridionale per effettuare la prima tappa a Nampan, dove al mattino si svolgeva il mercato, e il monastero si trova in quella occidentale. Tassativo soltanto essere lì per prima delle quattro del pomeriggio, perché dopo i monaci chiudono le porte della sala di meditazione e la utilizzano per il suo scopo istituzionale. Alle due ad ogni buon conto ero già lì, per una buona mezz’ora unico visitatore per cui, sebbene in uno stato di tranquilla trepidazione in attesa dell’esibizione dei miei eroi, ho potuto godermi l’incantevole pace di questo luogo a cui si arriva solo in barca, circondato da orti e giardini galleggianti, e che di per sé vale una visita: completamente in tek, costruito nel 1854 conserva, proprio nella grande, ombreggiata e ventilata grande sala di meditazione, una collezione unica di antiche e ricchissime statue del Buddha in stile shan, tibetano, bagan e awa, poste su basi in legno intarsiato lavorato con tale finezza da essere esse stesse delle opere d’arte. Una parte della sala aveva il pavimento ricoperto di linoleum ed eccoli lì, i protagonisti, le star che, viste dietro il palcoscenico, hanno l’aspetto di normalissimi gatti meticci, di taglia piuttosto piccola, che stazionano, chi dormendo in una parte soleggiata, chi aggirandosi pigramente, chi facendo un’accurata toilette, attorno a un bonzo accovacciato su una splendida panca sempre in tek, e che evidentemente è il maestro di cerimonie, come evinco da una foto che lo ritrae con i famosi cerchi in mano e un gatto che vi salta dentro. Dall’espressione sorniona sembra un gatto anche lui: me ne accorgo quando arriva un nutrito plotone di yankee orridamente abbigliati tra cui un gruppo di donne dall’età indefinibile talmente liftate da sembrare incartapecorite, marionette di cartapesta sul punto di disfarsi da un momento all’altro. Alla sua domanda da quali Stati provenissero, a chi rispondeva, col noto accento esageratamente strascicato e ad alto volume “Kelifounie”, chi “Seaufkeuolaine”, chi “Uestuiginie”, chi “Geùgiò”, il bonzo fa, con pronuncia pressoché oxfordiana: “Nessuno del Colorado? Della zona delle Rocky Mountains? Peccato, non ci stato mai stato”, sistemandoli a dovere. Insomma gli artisti stavano lì, a farsi i fatti loro, indifferenti al pubblico che si infittiva, come degli atleti che fanno riscaldamento prima della prestazione, o musicisti durante il sound check che precede l’esibizione: e mi è tornata in mente l’attesa spasmodica dell’uscita sul palco, in puntuale ritardo sull’orario previsto, quando arriva il giusto punto di ebollizione, della “Greatest Rock‘n Roll Band in the World: Ladies and Gentlemen: The Rolling Stones” alla loro ennesima tournée. Invece, anche se sono almeno trent’anni che so dell’esistenza di questi curiosi e a loro modo straordinari gatti acrobati attivi in un misterioso monastero in un luogo isolato della lontana Birmania, mi accorgo che sto sorridendo, che non sento alcuna fibrillazione, che mi pare naturale essere lì, tanto da non essere nemmeno tentato di chiedere quando giungerà il momento: “Que será, será”, per rimanere in ambito musicale. Del resto la vera sorpresa della giornata l’ho avuta al mattino quando i miei chaperón, istruiti della mia predilezione per i piccoli ma più perfetti felini, delle autentiche tigri in miniatura come li ha definiti Desmond Morris, che in proposito ha scritto un famoso libro, mi hanno portato allo “Inpawkhon Village”, un ristorante su palafitte molto elegante dove ha sede anche la Inthar Heritage House (c’è anche un sito web: www.intharheritagehouse.com), per la preservazione del gatto di razza birmana, dal carattere dolcissimo e dal morbido pelo corto di un marrone caldo e uniforme, che uno si aspetterebbe con gli occhi azzurri, come i siamesi, e invece li ha gialli: uno più bello dell’altro, meravigliosi. L’aristocrazia felina. Tanto ero rincoglionito a guardarli, giocarci, accarezzarli, che ho dimenticato di chiudere e perfino di avere lo zainetto in spalla, quello che avevo dentro si è sparso dappertutto e ho pure perso il copri-obiettivo della macchina fotografica. Senza neanche prendermela con me stesso (è l’effetto-gatto, oltre all’effetto-viaggio) mentre di solito in tali occasioni tiro giù madonne e sacramenti insieme a tutto il coro dei santi al completo, oltre al capo dell’intera banda. Invece gli artisti erano lì, incuranti, fino al momento in cui è sopraggiunta una donna con in mano un cerchio di metallo imbottito di stoffa e tre o quattro dei mici si sono radunati attorno a lei e due di loro hanno dato via allo show, davvero curioso anche se di breve durata. A tutta evidenza erano stanchi, così come lo era il direttore d’orchestra in tunica zafferano, che si erano già esibiti fin dalla mattina: insomma avevamo sbagliato l’orario, e non è detto che stamattina non rimedi. Comunque l’esibizione, per quanto ridotta all’osso, ha pienamente soddisfatto le mie aspettative perché ha comunque dello stupefacente. Perché se non c’è nulla di strano che un gatto sappia saltare in un cerchio (offrono ben altre prove di intelligenza, a cominciare dall’imparare per conto loro ad aprire e all’occorrenza richiudere sportelli che li separano da qualcosa di loro interesse o azionare per il verso giusto le maniglie per aprire una porta o una finestra a loro piacimento), quello che ha dell’incredibile è che lo facciano a comando di qualcuno che li convinca a farlo. E qui ci vuole la pazienza e concentrazione di un monaco buddhista. 

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