sabato 21 gennaio 2012

Attorno a Mandalay, scuole per poveri e acque purificate


Scorcio del complesso monastico-scolastico Pahung daw Oo

MANDALAY - Il pezzo forte di Mandalay sono i suoi magnifici dintorni, alla cui perlustrazione mi sono dedicato a fondo durante i sei giorni che ho trascorso qui. L’ho fatto a bordo della moto di Zawzaw (pronunciato all’inglese Sawsaw), guida preziosa e, in questi giorni, amico sincero. La città, sul corso dell’Ayeyarwadhi, si trova non solo al centro del Paese, di cui è crocevia, ma di una pianura vasta e fertile quanto quella Padana il cui panorama piatto, come quest’ultima viene ogni tanto interrotto da paesaggi collinari o anche montagnosi sullo sfondo. Lungo il corso del fiume si trovano le aree in cui sorgevano altre ex capitali birmane: Sagaing, cui si giunge attraverso un ardito ponte inaugurato nel 2005 che ha rilevato la funzione di quello costruito dagli inglesi negli anni Trenta del secolo scorso, una pletora di pagode che punteggiano a centinaia le colline circostanti, ben visibili per via delle cupole dorate; Amarapura, la più vicina a Mandalay e sulla stessa sponda del fiume, famosa per il Maha Ganayon Kyaung, prestigioso centro di studi monastiche ospita fino a 6000 giovani bonzi, noto per la sua rigida disciplina, e per l’U Bein’s Bridge, una cartolina della Birmania conosciuta in tutto il mondo (campeggia sulla copertina della Lonely Planet): il ponte di tek vecchio di due secoli lungo 1,2 chilometri e che collega le due sponde del lago Taungthaman; Inwa, che fu capitale per 400 anni, più delle sue rivali, e oggi è un’area rurale con ruderi pagode diroccate e perfino un forte sul fiume, ultimo di un sistema di tre congegnato da un ingegnere italiano a metà dell’Ottocento come ultimo sistema di difesa contro gli inglesi. Inwa è anche una sorta di trappola per turisti: isolata com’è da fiumi e canali, a meno di non venirci in moto con uno che conosce la strada si rimane vittima di un accordo di cartello fra i traghettatori da una sponda all’altra dell’Ayeyarwadhi e i barrocciai locali che  scarrozzano i turisti tra i siti lungo un percorso che impiega dalle tre alle quattro ore. Altro e più fastidioso trappolone è Mingun, a un’ora di distanza, verso cui parte un solo traghetto ufficiale al giorno, alle 9 del mattino per tornare alle 14, prezzo 5 dollari (l’affitto di barche private è improponibile a meno di essere un gruppo nutrito, e per andarci in moto si impiegherebbero 5 ore tra andata e ritorno), dove le attrazioni sono la seconda campana più grande del mondo (la prima si trova in Russia) e la Mingun Paya, quella che sarebbe stata la più grande pagoda del mondo (per la serie “caccia ai record”), se il re Bodawpaya non fosse morto prima che fosse portata a termine, nel 1819: dalla sua cima pianeggiante pare che si goda una magnifica vista del fiume: non posso confermarlo perché mi sono rifiutato di scucire altri tre dollari la governo per salirvi in cima. Qui ho trovato le gente più sgradevole da quando sono in Birmania, scostante e petulante insieme oltre che avida, del cibo immangiabile e perfino dei monaci stronzi. Un'eccezione alla regola, come conferma la mia istruttiva visita di ieri alla “Phaung Daw Oo”, ovvero la “Intergated Monastic Education High School” che si trova nel quartiere di Nanshe, nella parte NordEst di Mandalay. Si tratta di una scuola, fondata nel 1994 da due monaci, U Nayaka e U Zawtika B.Se, che accoglie qualcosa come oltre settemila allievi, femmine e maschi, provenienti da famiglie disagiate o problematiche, urbane e rurali, che hanno abbandonato la scuola quasi sempre per l’impossibilità economica di mantenerli agli studi, totalmente gratuita, autosufficiente e i cui corsi, di istruzione primaria e secondaria, sono riconosciuti dallo Stato. 900 sono al momento i ragazzi che usufruiscono dell’internato, 50 sono alloggiati nell’orfanotrofio, oltre a un centinaio di profughi del catastrofico ciclone “Nargis” che il 3 maggio del 2008 si è abbattuto sul Myanmar mietendo almeno 140 mila vittime, secondo le prudenti stime ONU e ASEAN, 300 mila secondo altre più realistiche. Da notare che vengono accolti ragazzi senza distinzioni etniche, e questo in un Paese dove gli scontri fra le minoranze e le forze governative, appartenenti in prevalenza alla maggioranza “bamar” (birmana) sono all’ordine del giorno e intere aree sono isolate e considerate zone di guerra (e pertanto non raggiungibili dai viaggiatori stranieri) e che l’educazione non si basa su alcuna religione. Quasi 200 sono gli insegnanti, regolarmente stipendiati (ne ho visti alcuni stranieri, per lezioni in lingua madre), è sostenuta dall’UNICEF e si basa su donazioni. Generose quelle di Germania, Francia e Svizzera, che hanno fornito la scuola di dormitori, laboratori (oltre che di falegnameria e tessitura anche di informatica, con decine di computer) oltre ad ambulatori che sono aperti anche per gli abitanti indigenti della zona (ieri era il turni dei dentisti, un altro giorno quello degli oculisti, e così via). L’Italia è splendidamente assente, tanto per cambiare: alla cooperazione allo sviluppo da sempre è assegnata una cifra ridicola, molto inferiore a quella a cui i vari governi si sono impegnati a mettere a disposizione nei trattati internazionali, e buona parte della quale è assorbita nel mantenimento di una burocrazia idiota che non sa nemmeno dove si trovi il Myanmar, nel sovvenzionamento di ONG “amiche” e il resto di fatto, in una forma di surrettizio sostegno all’esportazione (cosiddetto “aiuto legato”). Al termine della visita, avvenuta con l’accompagnamento di due allievi (uno dei quali, avendo appena visto il film “Romeo e Giulietta”, mi ha posto il quesito non banale del perché Shakespeare, che era inglese, abbia ambientato la vicenda proprio a Verona), sono stato gradevolmente intrattenuto  dal corresponsabile e fratello del fondatore, anch’esso monaco e puottosto avanti con l’età, e il discorso è planato sulle elezioni generali che, a quanto è dato sapere, dovrebbero tenersi in aprile. Secondo il monaco le cose stanno muovendosi e comunque cambieranno: se il momento sarà fra tre mesi, questo rimane un punto di domanda. Un’esperienza, la visita di cquesto complesso scolastico, che da sola vale più di un cantinaio di pur splendide pagodel. Per chi volesse saperne di più, ed eventualmente dare un contributo l’indirizzo è www.phaungdawoo.org. E a proposito di pagode e monasteri, non poteva mancare, già verso le colline a Nord della città, quello in cui un monaco, nell'estate del 1998, sognò il Buddha che gli disse di perforare il terreno in un punto ben preciso del complesso e che lì avrebbe trovato dell’acqua pura. Si procedette e il 3 luglio dello stesso anno, in effetti, a 117 piedi di profondità, poco meno di 40 metri, sgorgava l’acqua, costantemente fresca e purificata naturalmente come quella che viene stillata dalle pietre, come avrebbero confermato le analisi, effettuate a Singapore (dove è stata adottata dall’ospedale statale) e negli USA e qualificata come minerale con effetti curativi. Dicono che migliori il QI: che non devono aver stimato molto alto se i monaci me ne hanno prontamente omaggiato due bottiglie, e che Zawzaw (non io) si è ricordato che avevo nello zainetto quando, salendo su una collina da cui sembrava scendere una teoria di 500 monaci in terracotta, mi aveva visto pressoché disidratato. 
I "550 monaci"

1 commento:

  1. Quante notizie interessanti in questo post!
    Ma per quell'acqua che aumenta il QI, si potrebbe mica organizzare un importazione?
    Sai che effetti benefici sulla nostra classe politica, riuscendo a farla servire nei punti ristoro del nostro parlamento?

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