lunedì 26 dicembre 2011

Con l'antitaliano Bocca se n'è andato uno degli ultimi patrioti

"L'Antitaliano" se n'era andato già col numero 49 de L'Espresso dell'8 dicembre scorso: l'ultima volta che la sua storica rubrica è apparsa sul settimanale di cui era "la prima pagina scritta", come ha ricordato il direttore Bruno Manfellotto (quella disegnata è la vignetta di Altan), è stata sul numero precedente. Fedele lettore dell'Espresso da quarant'anni, me ne ero  accorto subito perché era sempre il primo pezzo che leggevo, l'appuntamento del venerdì, e solo per una sorta di scaramanzia ho evitato di scrivere un post dal titolo "Come sta Bocca?" Ieri si è spento a 91 anni, nella sua casa di Milano dopo una lunga, intensa, bella esistenza, vissuta da protagonista e testimone del nostro tempo fino all'ultimo. Giorgio Bocca, già comandante di divisione delle formazioni di Giustizia e Libertà, esponente di spicco del Partito d'Azione, senza farsi mai tentare dalla carriera politica, ha raccontato da giornalista come nessun altro nelle sue inchieste per Il Giorno le trasformazioni dell'Italia del Dopoguerra e i cambiamenti di un Paese di cui ha sempre descritto con grande onestà intellettuale fino all'ultimo le contraddizioni, i pregi e i difetti, questi ultimi visti col passare degli anni con lucido pessimismo come una tara congenita. Nel 1976 fu tra i fondatori di Repubblica, di cui fu editorialista, così come dell'Espresso, fino a poche settimane fa. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e per me è stato sempre un esempio, un punto di riferimento e una certezza, come giornalista e come uomo, una sorta di padre putativo. Una delle rare persone ai cui funerali sarei tentato di partecipare, se non fosse che temo il momento degli applausi alla bara  (a meno che il rude ma a suo modo dolce montanaro che è sempre stato non abbia disposto di prendere a calci nel culo che ci si provasse). Preferisco ricordarlo con uno degli ultimi editoriali dell'"Antitaliano", "Il bel paese dov'è difficile vivere", apparso sull'Epsresso del 28 ottobre scorso. Ciao, comandante.



I vescovi ci invitano ad avere speranza. Ma l'impressione generale è che sia troppo tardi per venir fuori dalla palude. Manca infatti una volontà diffusa di cambiare. E si confida troppo nello "stellone" per uscire dai guai.
Dicono che bisogna credere nel futuro, in un futuro diverso, migliore di questo presente, di questa marmellata di cose, oggetti, bisogni fra cui strisciamo. Non c'è neppure odio per le generazioni che ci hanno condotto in questa palude. Certo hanno mal governato il paese, lo hanno compromesso, hanno lasciato crescere la malavita, hanno dato ai cittadini un'unica morale, un'unica aspettativa: rubare allo Stato dove si può, finché si può. 
Che altro vogliono dire i vescovi quando lamentano la mancanza di etica della nostra società, la mancanza di buone regole, di buoni comportamenti? L'impressione generale, scoraggiante, paralizzante è che sia troppo tardi per venirne fuori, le complicità sono troppe, le malversazioni di massa soffocanti, le occasioni di riscatto rare: non c'è un prevedibile 25 luglio per l'arresto del tiranno, non c'è un 8 settembre per l'inizio della guerra partigiana, non c'è un'occupazione straniera di cui liberarsi. 
Sono le grandi dimensioni dei nostri attuali vizi, delle nostre pigrizie, delle nostre cattive abitudini a imprigionarci. Questa volta i "mille" del coraggio e dell'avventura sembrano scomparsi. 
Ogni sera gli italiani che ancora desiderano vivere in una libera democrazia si chiedono quanto durerà questo decadimento, questa resa al peggio, e se questa rinascita è realmente possibile o un vano desiderio che si rinnova di generazione in generazione. Il capo della polizia borbonica non accoglieva a Napoli il liberatore Garibaldi per disarmarlo, non consegnava la guida dell'ordine pubblico ai capi della camorra? Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa non è l'eterna vittoria dei reazionari? 
Nella mia vita ho visto cadere alcuni regimi autoritari, a cominciare da quello fascista, quasi sempre per autodistruzione. Le sedi dei partiti restavano aperte ma vuote, gli iscritti buttavano via le tessere e i distintivi, ritornavano i vecchi partiti guidati dai revenant, dai politici di ritorno.
Ci risiamo? Ogni sera agli italiani si chiedono quando avverrà, come andrà a finire. Che fare? Mandare in galera tutti i ladri? Si organizzerebbero subito come il partito più forte del paese e comunque le prigioni non basterebbero. Fare l'ennesima rivoluzione gattopardesca, cambiare tutto perché nulla cambi? L'ennesima rivoluzione per finta, con i furbi e i ladri lesti a tornare al potere? Sono i grandi numeri, le grandi dimensioni di questa società a impedire che cambi veramente. 
Nei primi anni della repubblica un giornalista napoletano di nome Guglielmo Giannini inventò "l'uomo qualunque" un movimento insensato, nemico della politica ma con la pretesa di fare la migliore delle politiche. Arrivò a vendere 700 mila copie e fu ucciso dal suo successo senza sbocco: non aveva un progetto fattibile, scomparve senza lasciare traccia se non nella sua inconsistenza, nella sua volgare utopia. 
Il difetto vero degli italiani lo aveva colto Leopardi quando denunciava la mancanza di un'opinione pubblica capace di una scelta etica. L'ultima illusione è stata quella della guerra partigiana: guerra di popolo per la libertà e la giustizia che diede al paese un forte impulso riformatore, durato mezzo secolo, una volontà di diventare finalmente un paese democratico. Quest'ultima illusione sembra davvero consumata. 
Il paese è bello, ricco di beni naturali, ma è molto difficile viverci per l'anarchia di chi ci abita. Per l'illusione costante di poter migliorare la società senza disciplina e senza sacrifici, per l'idea assurda che esista uno "stellone", una garanzia di fortuna che spontaneamente risolve i problemi del paese.


1 commento:

  1. Quando un grande come lui va via, ci sentiamo addosso un grandissimo sconforto. Non solo un umano dolore per la perdita di un "amico". E' ancora più amaro perchè pensare che con lui si è estinto il modello della onestà, della coerenza, della correttezza e dell'amore per il proprio paese (forse ultimo esempio rimasto), ci prostra maggiormente.

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