sabato 19 novembre 2011

Fedeli a San Siro

Fedeli a San SiroUna gradevolissima rimpatriata  ieri alla FNAC di Milano alla presentazione del libro di cui al titolo del post scritto dal mio ex "quasi cognato" Tiziano Marelli, milanese, vecchio amico e fratello nerazzurro perso di vista e ritrovato, trasferitosi a Roma, giornalista che si è fatto le ossa tra "Canale 96" e il "Quotidiano dei lavoratori", e Claudio Sanfilippo, anche lui milanese, ma di sponda rossonera, musicista ma non solo, con cui ho scoperto di avere in comuna la data di nascita (ma non l'anno, che è lo stesso di Tiziano, di cui sono quasi gemello). A condurre questo derby dialettico tra Inter e Milan un'altra vecchia conoscenza, la brava e sempre graziosa Gabriella Mancini, giornalista della Gazzetta dello Sport e volto televisivo abbastanza noto: un arbitro non del tutto parziale, perché lei stessa ha confessato di essere milanista, così come era di parte il "quarto uomo", nell'occasione Fabio Treves, personaggio conosciuto a chiunque nella Milano degli anni Settanta, fondatore della omonima e vitaminica Blues Band, anche lui di fede rossonera, e che con Sanfilippo aveva a suo tempo composto un inno del Milan, eseguito per l'occasione a cui per fortuna, lo dico da interista, Galliani e Berlusconi hanno preferito quello abbastanza insulso che è diventato ufficiale. Perché è strepitoso e glielo invidio. Più equilibrata la platea, composta in buona parte da "grey panthers" o quasi come il sottoscritto. Una carrellata di aneddoti, storie di calcio, di manie, di derby, ma soprattutto una storia di amicizia (Claudio e Tiziano si sono conosciuti, anzi: "snasati", cose si dice tra meneghini, trent'anni fa sulle scale del condominio dove vivevano, a Città Studi, e non si sono mai persi di vista) sullo sfondo di una Milano che non c'è più, e quando sopravvive, bisogna cercarla tra le pieghe di una città che è diventata estranea. Non perché sia cambiata più di tanto la sua fisionomia, ma chi la abita: i milanesi di quei tempi, e mi riferisco anche agli immigrati del periodo del boom, che lo sono diventati, ben presto, a tutti gli affetti, sono scomparsi, come lo è il loro mondo, la vita dei quartieri, i bar, i ritrovi. Perfino San Siro non è più quello, con un campo indecente per colpa della copertura aggiunta insieme al terzo anello per i Mondiali del 1990. I personaggi che abitavano quella città sono scomparsi, ma sono tornati vivi ieri sera, nei ricordi dei due autori, che li citano nel loro libro "Fedeli a San Siro" (uscito per la collana "Strade blu" di, ahimé, Mondadori) e del pubblico. Uno del quale, un distinto e forbito signore di fede rossonera, ha sottolineato quanto "casciavìt" e "baüscia" siano antropologicamente diversi. Verissimo ma, aggiungo, per questo complementari. E quindi necessari l'uno all'altro. Motivo per cui Milano è l'unica città in Italia e probabilmente al mondo ad avere un derby dove non è mai successo un incidente, anzi: la stracittadina è l'unica partita che non prevede alcun "settore degli ospiti" inteso come ghetto (a parte le due "curve", che si scambiano sfottò così come gli abbonamenti e i favori). Biscioni nerazzurri e diavoli rossoneri, uguali ma diversi, o diversamente uguali. Le due facce della stessa medaglia, o i due aspetti della stessa fede: quella in San Siro, appunto, a cui entrambi sono devoti.

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