martedì 30 novembre 2010

Addio, maestro e viandante!


Mario MonicelliHONG KONG - Mi raggiunge da diecimila chilometri da distanza la notizia della morte di Mario Monicelli, che ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere a Udine in occasione del conferimento della laurea honoris causa, la prima decisa dalla facoltà di lettere, presieduta allora da mia cugina Caterina, dell'Università di Udine nel 2005. Aveva da poco compiuto i 90 anni e mi aveva dato del ragazzino quando gli avevo detto che a giorni ne avrei fatti 50 e stentavo a crederci. Tornava sempre molto volentieri in Friuli, dove aveva girato il film a cui forse teneva di più, "La Grande Guerra" (1959). In quei giorni, se non ricordo male, aveva girato anche una lunga intervista a cura di Gloria De Antoni che si svolgeva prevalentemente sul "trenino" della linea Sacile-Gemona, una tratta ormai quasi dismessa ma importantissima nella Prima Guerra Mondiale, nei luoghi in cui avvennero le riprese del film: credo sia andata in onda semiclandestinamente su RAITRE, nottetempo. Era una persona deliziosa, arguta, solo apparentemente burbera, sincera, attenta al prossimo. Poche parole, ma precise, essenziali, senza menare il can per l'aia. Sapeva raccontare, a modo suo, e ascoltare; colto, curioso quanto era frugale nell'esistenza quotidiana; stava bene tra i giovani e ne aveva fiducia; lo dicevano cinico, in realtà era rigoroso e diretto, mai ipocrita, detestava la retorica sopra ogni cosa. Mi ricordo quando raccontava dei pasti che si cucinava da solo, dopo essere andato a farsi la spesa, ogni giorno, perché da solo preferiva vivere, almeno quando era a Roma, e non dipendere da nessuno né rompergli le scatole con le proprie abitudini: l'ho subito amato molto per questo. Quando ho saputo che si era suicidato lanciandosi da una finestra dell'ospedale dopo aver coscienziosamente seguito le prime cure per un tumore alla prostata, ho pensato che non poteva che morire così, il Mario che ho conosciuto. Con grande dignità, scegliendo il momento di andarsene e senza dire una parola. Era stufo e aveva vissuto abbastanza: anche un cancro, no. Come epitaffio, le parole che pronunciò in quel maggio di cinque anni fa quando nella chiesa sconsacrata di San Francesco fu nominato "Dottore in storia e civiltà europee" - raramente titolo fu più pertinente: “Bisogna andare, conoscere, affrontare l’imprevisto, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche con il cervello. Sempre cercare qualcosa di irraggiungibile, forse di impossibile da trovare. L’uomo è un viandante e i miei film nascono tutti da quest’idea”.

lunedì 29 novembre 2010

Stop Over a Tel Aviv: la città e i cani

Spiagge e skyline di Tel AvivTEL AVIV (תל אביב-יפו) - Ho organizzato la mia trasferta in Estremo Oriente, con base a Hong Kong, usufruendo degli ottimi prezzi di El Al, la compagnia di bandiera israeliana, e così sono riuscito a congegnare uno stop over di 18 ore, da stamattina alle 3 alle 21 di stasera, in modo di riuscire a dare almeno un'occhiata alla città. La seconda dopo Gerusalemme, che è anche la capitale, per numero di abitanti, ma centro dell'area metropolitana più popolata del Paese. Intanto da sfatare la pedanteria dei controlli doganali: meticolosi ma rispettosi alla partenza da Malpensa per quanto riguarda il bagaglio da stiva, nessun interrogatorio particolarmente penetrante e indiscreto, nessuna dichiarazione da presentare al controllo passaporti; per evitare rogne successive in Paesi che considerano Israele come un nemico basta chiedere di applicare il timbro che funge da visto di ingresso su un foglio a parte, che viene prontamente ritirato all'uscita dalla dogana. Non ho mai impiegato così poco tempo a sbrigare delle formalità di frontiera. "Gerusalemme prega e tel Aviv si diverte", recita un detto popolare, e la prima impressione ne è l'esatta conferma, calando alle prime luci dell'alba dalla stazione dei treni di Merkaz, a 10' dall'aeroporto Ben Gurion, a piedi verso il lungomare: alle sette del mattino erano già attivi jogger a decine, qualche bagnante si dedicava a una salutare nuotata mattutina, ma i veri padroni della spiaggia, e spesso dei marciapiedi, sono i cani, di ogni razza e dimensione: una densità canina paragonabile l'ho vista soltanto a Buenos Aires, e una città così innamorata dei quattrozampe soltanto Resistencia, sempre in Argentina, da dove avevo scritto un postcon un titolo simile a quello di oggi. Tel Aviv è decisamente moderna, e nel suo nucleo storico ricorda nettamente una città del meridione italiano, però più ordinata e pulita. Me l'aspettavo anche più caotica, invece rispetto alle nostre mi sembra piuttosto tranquilla, anche se qui sembrano lamentarsi. Laica e disinibita quanto Gerusalemme è religiosa e bigotta, qui anche le persone anziane hanno lo sgaurdo vispo dei ragazzi e l'aria di divertirsi: sembrano dei triestini, ossia i californiani d'Italia.Zona del Mecato di Carmel"Nasualmente" e non ancora dotatop di cartina, sono subito capitato nella zona del mercato di Carmel (quello che dà il nome alla marca degli avocado che giungono sulle nostre tavole: foto qui sopra la zona), estremamente simile, anche per gli edifici che lo circondano, nel quartiere cosiddetto "yemenita", a quelli palermitani della Vucciria e diBallarò, e anche le fattezze della gente lo sono: un sano miscuglio, dai biondi ai mori, come i siciliani. Sì, sono ebrei: ma hanno le stesse nostre facce e si muovono e gesticolano come noi. E parlano ininterrottamente. Colpisce la presenza di una quantità di russi, giunti negli ultimi decenni a rimpinguare la componente ebraica di Israele: è il russo la seconda lingua che si sente parlare, non l'inglese, e lo stesso vale per le scritte, decisamente un problema a parte il pieno centro se non si è dotati di una mappa. Seguendo il lungomare verso Sud per circa tre chilometri si giunge a Jaffa (foto in basso), situata su una collina a chiudere un'insenatura e a dominare un porticciolo. Di matrice prevalentemente araba, e in parte distrutta dagli inglesi per fare spazio a strutture militari, è stata oggetto di un intervento di restauro che se l'ha ripulita e ricostruita secondo gli antichi dettami, dà pur sempre un'impressione di posticcio: anche le vecchie pietre color ocra rimaste, levigate dal tempo, danno l'impressione di essere appena uscite da una cava e sottoposte  ad accurata rifinitura. E' diventata un'attrazione turistica ma, alle 8 del mattino quando vi sono giunto io, gradevole. Oltretutto da Jaffa si gode di un'ottima vista sulla città e l'area metropolitana che si estendono per uan quindicina di chilometri verso Nord, in direzione di Haifa, e che stanno sviluppandosi verso Est. Nella parte bassa di Jaffa si tiene invece giornalmente un mercatino delle pulci che sembra trasportato in riva del Mediterraneo direttamente dalla Russia Sovietica, sia per le cianfrusaglie improbabili che vi si commerciano, sia per i volti dei rigattieri. Temperatura da tarda primavera, quand'è mezzogiorno un bagno lo farei pure io se mi fossi portato dietro il costume e se mi fidassi di lasciare in giro lo zainetto, ma va bene così, pensando che ieri la Terra dei Cachi era battuta dagli acquazzoni quando non coperta di neve. Manco a dirlo i locali sono per di più dotati di collegamento wi-fi gratuito e velocissimo, bar e caffè sono gradevolissimi, si mangia bene, e anche se si tratta della città più cara d'Israele, i prezzi sono accettabili. Meravigliose le spremute, su tutte quella di melograno, non a caso frutto sacro degli ebrei. Fresco, corroborante: si potrebbe dire divino. Un Paese in cui tornare, decisamente, per batterlo a fondo. Anche per capire, osservando, parlando, e non per sentito dire e con i paraocchi ideologici o religiosi. Quel che viene spontaneo chiedersi, è perché l'Unione Europea non solleciti l'adesione di Israele come, inascoltati, avevano proposto più volte e da tempo i radicali italiani. Un Israele europeo sarebbe una garanzia e anche un ottimo viatico per una soluzione della questione palestinese, ne sono convinto. Francamente, c'è molta più Europa qui che nella Romania e Bulgaria post sovietiche. Detto senza offesa. Shalom!Uno scorcio di Jaffa vecchia